Perlomeno è coerente, l’ha detto dal primo giorno, da quando non era ancora diventato Osimhen che voleva essere Drogba: calcisticamente bello come lui, possente alla sua maniera, decisivo in quel modo lì, assai artistico o anche potente. Insomma, un attaccante capace di dominare il tempo. «Ci spero e so cosa resta da fare». Intanto, e gli è noto, ridurre quella forbice che va dai suoi 91 gol ai 305 di DD: sembrano tanti, anzi lo sono, paiono un’enormità, ma adesso che Osimhen si è messo a segnare come il suo idolo, lo spazio si restringe. «Sono consapevole di dover crescere, per poter dare alla Nazionale il contributo che lui diede alla sua Costa D’Avorio». Dici Drogba e pensi al Chelsea, alla Costa D’Avorio, un po’ anche al Guingamp ed all’OM; e poi rileggi Osimhen e lo rivedi nel Napoli, la favola più bella dopo l’escalation con Lilla e le difficoltà in Germania, lo ritrovi in in quegli stacchi imperiosi che ricordano il suo eroe dell’infanzia ma pure quello di questi giorni o di un futuro che gli appartiene e che verrà caratterizzata dalla voglia matta di potersi concedere la confidenza di vedersi a lui paragonato. «Per pensare di avvicinarlo, allora dovrò vincere con la Nigeria». E magari pure con il Napoli, gli converrà: perché in quella carriera sontuosa, ci sta di tutto, quattro Premier, un campionato turco, coppe di ogni ordine e grado in Inghilterra ed in Turchia, ma soprattutto la Champions League, un inno alla carriera. Fonte: CdS