La sera in cui tornava da Castel di Sangro, avvolto nei propri pensieri, mentre rivedeva mentalmente un quel mese di ritiro tra il Trentino e l’Abruzzo, Luciano Spalletti s’era già messo in testa un’idea meravigliosa: ma nel realismo che l’accompagna da sempre, evitando la fantasia dalla quale sfugge, immaginarsi questa vita così bella gli dovette risultare più impossibile che difficile. Alla trentaseiesima partita ufficiale, in una stagione che è completamente del suo Napoli, con lo scudetto che sta lì a portata dei sarti e il quarto di finale di Champions che sa già di Storia, nel «libretto» di un allenatore che il calcio l’ha cambiato già tatticamente in passato e che adesso lo stravolge per chissà quanti decenni ancora, il trenta e lode non poteva essere contemplato, per umiltà o per senso di responsabilità o per serietà con se stesso: e invece, mentre le sale del Maschio Angioino si preparano ad accoglierlo per consegnargli il premio Bearzot, il curriculum vitae di Luciano Spalletti s’arricchisce di una laurea ad honorem. Fonte: CdS