C’è una sola squadra in campo e Osimhen, del Napoli, è capopopolo, guida la rivoluzione, ne scorta il sogno coi due gol con cui apparecchia la tavola alla festa e con quelle rincorse per assicurarsi che neppure un pallone sfugga al suo controllo. Il colpo di testa quando il primo tempo sta per esaurirsi autorizza a calcolare anche i millimetri di un’elevazione d’altri tempi, d’altri sport, che riuscirebbe a pochi. Osimhen neppure esulta, si limita a togliere la maschera da Supereroe, aspetta siano i compagni a travolgerlo. Il paradosso è che non festeggia, suo malgrado, neppure col bis, perché resta intrappolato in rete, avvolto per un istante (anche) da un dubbio: e ora? Cosa è successo? Appartiene pure ai tifosi che poi si sciolgono in un applauso scaccia-incubi quando Osi si rialza semplicemente fasciato, più vivace di prima, una gazzella in campo aperto prima che Spalletti lo richiami in panchina.
NON SI FERMA. Perché dovrebbe rifiatare, Osi, se ha già perso (non per colpa sua) troppo tempo? In questa stagione ha segnato 23 gol in 28 partite avendone saltate 7. Ai 19 in campionato, nessuno come lui, si aggiungono ora i 4 in Champions (in 5 presenze), gli stessi di Simeone e Raspadori, i suoi sostituti nel mese di assenza tra settembre e ottobre. Mai nessun giocatore del Napoli aveva segnato all’andata e al ritorno in un’eliminazione diretta Champions. Testa al prossimo, inseguendo un sogno, sfidando a (distanza) Haaland che ha altri numeri in Champions (10) ma sembra sedere comunque al suo tavolo in questo bistrot di affamati di gol.
Fonte: CdS