L’intervista integrale- Lobotka al Cds: “Ho pensato di andare via. Ecco quando abbiamo capito di essere forti”

Dov’era l’errore, in quel tempo perduto a chiederselo? Perché di quest’uomo esageratamente geniale, nascosto tra i misteri del calcio, per un anno e mezzo non s’era mai intravisto il talento. Ventidue milioni bruciati nel nulla delle divagazioni più banali, nel sospetto che ci fosse un trucco, peggio ancora un cosmico abbaglio: e invece, avvolto nelle tenebre e nell’inganno, Stanislav Lobotka inseguiva se stesso, forse anche la luce: il primo, e non era ancora divenuto il «gordo», come da cinica etichetta, mise assieme 818′ minuti e una serie di perplessità rimaste però rinchiuse in quei mesi duri e ingovernabili – pure emotivamente – del Covid; e il secondo, a quel punto ormai il «grasso», dovette accontentarsi di 527′ e di una serie di angoscianti «cattiverie» che l’avrebbero potuto demolire. Eppure, l’aveva mandato Hamsik, dal quale Giuntoli volle relazioni.

Il calcio è bugia, raccontano i maestri del passato e pure i contemporanei, e quando Luciano Spalletti compare sulla panchina del Napoli, Stanislav Lobotka non sa che il suo destino sta per cambiare però lo intuisce in fretta, al primo palleggio, stavolta regolare, nel quale avverte il rumore sordo della rivincita, scaccia via il passato e s’accorge d’essere stato proiettato in un’altra dimensione, che l’avvicina a Iniesta, che lo trasforma in Mozart, che ne fa un Paolo Sorrentino del football: ciak, c’è un uomo nuovo nel Napoli, è un uomo in più.

Possiamo chiamarla don Andrés? «Ma no! Lo so che in tanti mi accostano a lui ma io, ovviamente, penso di essere un giocatore diverso. È bello essere paragonati a Iniesta, è una soddisfazione enorme, ma a tratti io ho anche avuto l’impressione che tutti si aspettassero molto da me, e ciò può aver creato anche una forma di pressione. Però è fondamentalmente giusto che mi chiamiate Lobo».

Cosa è successo nei suoi primi diciotto mesi italiani? «Non è facile rispondere, anzi è parecchio complicato. Ho vissuto un momento difficile, non giocavo, poi nel febbraio del 2021 ho avuto il primo dei due interventi alle tonsille. Ma comunque era venuta meno in me la fiducia, ero diventato improvvisamente triste».

E ha (pure) pensato di andar via? «Certo che sì: perché chiunque resti sempre fuori a un certo punto si fa delle domande e può essere tentato di scegliere nuove soluzioni. Certi ragionamenti sono scontati, anche inevitabili: pensavo che Gattuso volesse un tipo di giocatore diverso, non trovavo spazio e quindi per me c’erano problemi. E l’idea di cercare un altro club l’ho avuta. Poi ho perso sei chili, è arrivato Spalletti ed è cominciata un’altra storia».

Ma Lobotka era già così forte, come poi si è visto, prima di venire a Napoli…? «Questo non lo so, mi sembrava di essere in fiducia quando sono arrivato, ed ero ovviamente fiero della mia scelta, orgoglioso di aver attirato l’attenzione di una società del genere. Ma quella fiducia è sparita in fretta, perché i miei spazi si sono immediatamente ristretti. L’ho ritrovata quando mi è stata concessa continuità e il rendimento se n’è giovato».

Chi è il più forte nel mondo nel ruolo? «Ce ne sono tanti, ognuno con le proprie caratteristiche, con la proprie differenze. E ogni allenatore ha le proprie preferenze. Ma se devo cercare riferimenti nello specifico, pur nelle diversità, adesso penso a Casemiro; e in Italia, mi piacciono Bennacer e Brozovic».

Da bambino chi voleva essere?  «All’inizio mi bastava semplicemente avere un pallone tra i piedi e divertirmi. Pensavo sempre al calcio, sognavo da grande di giocare la Champions , immaginavo di poter diventare ricco: ma quelli sono gli occhi di un fanciullo che ignorano la realtà o magari la osservano in maniera distorta. Una cosa è certa: non credevo, forse non credevano, che sarei mai arrivato a giocare in uno dei primi cinque campionati europei».

Il primo amore? «Ronaldinho del Barcellona. Poi sono cresciuto, sono cambiato, ho interpretato il calcio attraverso nuove letture, le mie, quelle di un centrocampista, ho cominciato a restare incantato da Iniesta e da Xavi, poi da Modric e poi Verratti, tutti dello stesso livello, tutti di altissimo livello».

Può scegliere un solo idolo… «E allora dico Xavi, probabilmente per la posizione che occupava. Ma dandomi una sola possibilità mi fa un torto…».

Quando ha capito che voi del Napoli eravate veramente una grande squadra? «In ritiro. Erano andati via in tanti ma si vedeva e si sapeva che i nuovi avrebbero tenuto elevata la qualità. Poi nelle prime partite di Champions abbiamo avuto risposte importanti da noi stessi, è cresciuta la stima, ci siamo convinti della nostra forza, di ciò che Spalletti ci diceva».

E siete andati persino oltre…

Esiste un segreto? «Non so se è una chimica, certo una serie di fattori: la bravura di Giuntoli nello scegliere i calciatori giusti; la forza di Spalletti che ci migliora; la serenità che ci concede la società. Poi, c’è fame dentro ognuno di noi, vogliamo lo scudetto, vogliamo regalarlo ai nostri tifosi che sono fonte di energia dentro e fuori dallo stadio. E puoi anche non star bene in quel momento, puoi non sentirti nel pieno della tua condizione, ma quando avverti la passione della gente, devi riuscire a dar qualcosa in più».

La Champions cos’è ora? «Vincerla è un sogno per tutti, quindi anche per me, ma sappiamo che è difficile, tanto. Ci sono grandi club e questo basta e avanza per definire lo spessore dei concorrenti. Ma noi non abbiamo nulla da perdere, giocheremo senza pressioni, non siamo come il Real Madrid che invece le avvertirà, e quindi saremo leggeri ma decisi. Se riusciamo a passare il turno, potrebbe succedere di incontrarli e noi li affronteremo – loro o chiunque altro – con la convinzione di potercela giocare. Il Napoli in finale non se l’aspettano».

Partite dallo 0-2 dell’andata, domani sera, e avete le mani sui quarti: risultato mai raggiunto dal Napoli ne suoi 97 anni di Storia. «Non è fatta, perché queste gare di andata e trasferta nascondono insidie. Basta un gol per cambiare l’inerzia, per spostare l’equilibrio. L’Eintracht è squadra compatta, che ci proverà, ovviamente, e noi dovremo stare attenti».

Tra un po’, scherzandoci su, potrà pure prenderlo in giro… «Lui qua ha fatto cose enormi, del secondo posto di quel Napoli si parla ancora. E comunque, dovesse andare come ci auguriamo, io so che Marek sarà felice per me».

Lei è un uomo fortunato: ha Kvaratskhelia e Osimhen davanti.. . «Lo so».

E quindi, scelga: Kvara o Osimhen? «Allora volete mettermi in imbarazzo…».

Un giochino. «Osimhen è tra i primi quattro centravanti al m ondo con Haaland, Lewandowsky e Benzema. Calciatori impressionanti, decisivi».

E Kvaratskhelia. «Tra i primi tre esterni offensivi, con Vinicius e Mbappé».

E Lobotka è don Andrès? «No, Lobo».

Però il profumo dello scudetto si avverte… «Beh, non lo so, perché in Italia non l’ho mai annusato… Ma ormai cominciamo a sentirlo dentro. La sensazione che si avvicina è sempre più forte, gara dopo gara, dopo ogni vittoria».

La domanda che non si deve fare: ha firmato? (sorride) «Diciamo che siamo a buon punto, stiamo chiacchierando. È chiaro che io voglio restare qua e senza ombra di dubbio».

Fonte: CdS

 

 

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