Ma in questo calcio che perde i suoi eroi e che forse ne cerca, Kvara si sta trasformando nell’identità nuova di un Napoli geniale, il collante emozionale tra una squadra e la propria gente che s’interroga, come fa Maurizio de Giovanni nella sua versione da scrittore, un uomo da milioni e milioni di pulsazioni, non solo di libri. «Ci sarà chi si sorprenderà nel trovarmi favorevole ad una ipotesi del genere. Ma io credo che ogni generazione possa e debba avere un idolo. Questa auspicabile vittoria va celebrata: a Lui, con la maiuscola, abbiamo dedicato lo stadio e ciò lo rende unico. Sarebbe bello vedere una dieci sfilare in campo, ma non con la prospettiva che resti un anno solo ancora qui da noi. Se Kvara deve diventare il riferimento per i ragazzi di oggi, va benissimo; ma dargliela e poi tra dodici mesi accorgersi che le leggi del calcio ce lo hanno portato via, allora no».
Maradona fu altro, indiscutibilmente, si prese la città e non l’ha mai perduta, fu il ribelle rivoluzionario che entrò tra i vicoli (pure) con la forza e il magnetismo di una personalità affascinante, e spinse gli intelletuali a raccogliersi nel «Te Diegum», fondato da Claudio Botti, presidente della Camera Penale di Napoli che per un po’ ha vacillato. «E per una notte intera, dopo il gol di Kvara all’Atalanta. L’ho pensato anche io, poi mi sono messo le cuffiette ed ho ascoltato la canzone di Rodrigo Bueno, ho ripensato a cosa divenne Maradona per il tessuto sociale di Napoli, alla sua figura quasi religiosa, anzi religiosa. Kvara è un artista ma è ancora e solo un giocatore. Diego è stato Napoli».
Fonte: CdS