El Pampa Sosa: “Spalletti ti insegna come stare nel calcio; io, il primo ad averci creduto”

El Pampa. Diciannove anni fa. Era il 2004. La storia la sapete, il Napoli fallito e l’Uomo del Cinema che arriva in soccorso. Pampa Sosa si è fermato a Napoli. Ha una compagna di Capodimonte, passeggia per i quartieri spagnoli e va in circumvesuviana, come solo i veri napoletani.
Tu sei stato il primo dei mohicani. Quello che ha indicato la strada a Osimhen e alla sua cresta. «Fui il primo tesserato del nuovo Napoli nato dal fallimento. Firmai il contratto in una stanza dell’Hotel Vesuvio. Non esisteva una sede».
Nemmeno le divise avevate. E nemmeno un pallone… «Eravamo quattro calciatori il primo giorno di ritiro a Paestum: io, Montervino, Montesanto ed Esposito. Non c’era nulla. Zero. Tutto sequestrato. Tutto così surreale».
Allenatore Giampiero Ventura. «Parlava delle sue idee a questi 4 disperati, ma era fantacalcio. Non c’era una squadra e nemmeno la si poteva immaginare. Esposito aveva in macchina il pallone sgonfio del nipotino. Un pallone della Lazio. Facemmo con quello i primi palleggi».
Un pallone sgonfio. Nasce così il Napoli senza Maradona più forte della storia. Qualche dubbio ti sarà venuto all’epoca… «A me non spaventa nulla, sono argentino, vengo dalla strada, una volta che mi sono convinto, poi vado come un treno. Non mi guardo indietro».
Stavi all’Udinese in Serie A, la Coppa Uefa da giocare. In panchina Luciano Spalletti. Cambiano le statuine del presepe, ma tutto torna. «Mi chiama Pierpaolo Marino: “Ti voglio portare con me a Napoli, non ti pentirai, torneremo in A e diventerai il re della città”».
Profezia forte… «Assurda. Io avevo paura della C. Non la conoscevo. La vedevo come un campionato difficile. Avevo già fatto fatica in B con Ascoli e Messina».
Ti sei fatto convincere. «Marino mi aveva già portato a Udine. M’era venuto a prendere di persona al Gimnasia in Argentina. È un amico. E poi ci fu la mossa decisiva».
Vale a dire? «Mi feci promettere da Pierpaolo che nell’ultima al San Paolo avrei indossato la 10 di Maradona. Era stata ritirata, ma in C valeva ancora la numerazione tradizionale».
Così è andata… «Ultima in casa con il Frosinone. Eravamo già promossi, chiedo a Reja la numero 10 ma lui fa il vago. “Vediamo…”, mi fa. “Vediamo un cazzo, mister!…”. Parlai con Pierpaolo e gli ricordai il patto».
Se t’avessero detto quel giorno a Paestum che tra nemmeno due decadi questo Napoli sarà in cima al mondo… «Avrei chiesto una perizia psichiatrica».
…E che tu sarai napoletano nell’anima. «Napoli mi è entrata subito nella pelle. Qua mi sento a casa mia. Lo dico sempre: chi firma un contratto col Napoli lo firma con la città intera».
Il primo allenamento. «Lavoro fisico in quattro e due palleggi con il pallone sgonfio. Senza forzare. Se si faceva male uno era finita. Finita prima d’iniziare. Dopo pochi giorni cominciarono ad arrivare gli altri…».
Ventura esonerato dopo due mesi. «Non aveva mai allenato in C. Voleva imporre il suo gioco, ma su quei campacci ci voleva altro. Arriva Reja, uomo pragmatico, A gennaio arrivò anche Calaiò. Aveva fatto un casino di gol al Pescara».
Il primo incontro con De Laurentiis. «Ci disse: “Ragazzi, se l’arbitro ci fischia rigore contro voi dovete dire grazie”. Non capiva molto di calcio, ma ci fece subito sapere che gli importava il rispetto delle regole. E poi sa scegliere gli uomini, non ne sbaglia uno».
Una marcia trionfale, la Serie A al terzo anno. Il tuo gol al Frosinone il giorno della festa della promozione in B. Con la maglia di Maradona. Un gol alla Maradona. «Fui l’ultimo a portare quella maglia. Se ci riprovo mille volte non ci riesco più. Fu Diego a farlo per me quel gol. Ho pianto come un bambino. Mostrai la maglia che avevo sotto: “Chi ama non dimentica”. Me lo sono tatuato sul braccio».
Avrai pianto anche per la finale in Qatar. «Tutte le partite ho pianto. Il primo Mondiale senza Diego. La disumana pressione su Messi. Lui che deve fare tutto, deve sconfiggere anche l’inflazione argentina. Lui che, dopo la Coppa America, vince il Mondiale».
Spazzata via ferocemente anche l’Atalanta. Scaramantico a oltranza o scudetto già vinto? «Scudetto già vinto. Spalletti l’ho avuto a Udine. Se penso a lui, non mi ricordo di come giocava tatticamente. Mi ricordo la sua empatia: te le faceva toccare con mano le cose in cui credeva».
Spalletti ama i suoi giocatori. «Se lo confronto con Sarri, un altro allenatore che stimo e conosco bene: Sarri insegna a giocare a calcio, Spalletti ti insegna a come stare nel calcio».
Te lo senti anche un po’ tuo questo probabilissimo scudetto? «Mi sento d’aver messo il primo mattone, il primo a dire: crediamoci. Il primo atto di fede. Con i compagni, De Laurentis e Marino, abbiamo attraversato l’inferno e oggi siamo alle porte del paradiso».
Dovendo scegliere uno di questo Napoli? «Facile dire Osimhen, ma scelgo Simeone. Mi ci rivedo in lui. Umiltà, orgoglio, dedizione. Sta in panchina solo perché ha davanti un fenomeno, accettare non è facile ma lui è impeccabile».
A proposito di scelte di cuore. La tua compagna napoletana. «Raffaella capisce zero di calcio. Lei è laureata in Scienze politiche, insegna a scuola storia, filosofia e spagnolo».
In città si parla del vostro grande amore. «Cinque anni fa sono tornato in Argentina per stare vicino ai miei figli e lei ha voluto seguirmi. Trovò lavoro in una scuola italiana e capì che le piaceva insegnare. Se penso all’amore, penso a questo».
Tre figli con l’ex moglie. «Guadalupe ha 24 anni, sta per laurearsi in medicina. Tomas ne ha 20 e gioca nel Pontedera in Lega Pro. Valentina, 15 anni, nata a Napoli nel Rione Sanità, è una danzatrice promettente».
Dimmi di Tomas. «Attaccante di un metro e 90, uguale a me, ma più forte tecnicamente. Voglio solo che non si faccia male e viva sereno. Lui e le due sorelle».
Dovrai scegliere se fare il commentatore o l’allenatore. «Ho allenato in Argentina, Bolivia, in Italia e nei Paesi Arabi. Nessun dubbio: mi sento allenatore. Fino a giugno mi sono messo il cuore in pace: seguirò questo Napoli che è come fare un master a Coverciano. Ho tutti i patentini che servono, devo solo trovarmi un bravo procuratore».
Un obiettivo in testa? «Se mi chiedono di scegliere tra B e Lega Pro scelgo la Lega Pro. È più stimolante. Vedo ragazzi più motivati, hanno più fame di arrivare».
Maestri allenatori? «Sono un fan di Bielsa, ma scelgo Carlos Griguol. Uno tipo Mazzone. Sai gli allenatori di una volta che ti seguivano come un padre… se studi, come ti vesti, come spendi i soldi che guadagni».
Il calciatore più forte con cui hai giocato? «Guillermo Schelotto al Boca, Amoroso all’Udinese e Pocho Lavezzi al Napoli. Un pazzo. Genio e sregolatezza. Non gli piaceva allenarsi. Per un anno ha fatto finta di non parlare e non capire l’italiano per non avere rotture di scatole».
L’eruzione prossima del Vesuvio: in quale posa ti piacerebbe essere ritrovato sotto la cenere? «Seduto in una trattoria dei Quartieri Spagnoli, che sto mangiando un bel panino prosciutto e mozzarella con la mia compagna».
GdS
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