Napoli nel cuore. Sempre e comunque. In 10 anni di Napoli, Ciro Ferrara si è tatuato sulla pelle quella maglia azzurra. Anche per via di un’amicizia con Diego Armando Maradona, prima idolo, poi compagno di squadra e in fine «fratello». Ferrara fa parte di una ristrettissima cerchia di giocatori che hanno vinto il tricolore a Napoli, una cerchia che quest’anno potrebbe allargarsi anche a quelli che vestono la maglia azzurra con Spalletti in panchina.
Eppure gli azzurri arrivano dal ko interno contro la Lazio.
«È una sconfitta che non cambia nulla».
Come mai ne è così sicuro?
«Quando si tratta di campionati lunghi è impensabile poter credere di vincer tutte le partite. E sono proprio quelle partite in cui subisci o comunque sei sconfitto a darti la forza per arrivare al successo finale. Ma c’è di più».
Prego.
«Le due sconfitte di questa stagione contro Inter e Lazio non sono state segnate da un dominio degli avversari, anzi. Il Napoli non è stato dominato ma ha giocato alla sua maniera. Non ha mai fatto una bruttissima prestazione. Diciamo che contro la Lazio ha fatto una prestazione leggermente al di sotto dei suoi standard».
Cosa si aspetta da Spalletti adesso?
«Immagino che Luciano abbia analizzato la partita senza fare drammi. È il primo a sapere che gli scudetti li vincono le squadre costanti nel campionato e pensare di non perdere mai è utopia».
A proposito di Spalletti: nella sua veste di opinionista Dazn, che idea si è fatto dell’allenatore del Napoli?
«Il fatto di conoscersi ed essersi frequentati ci permette certamente di avere un dialogo più sereno. Mi rendo conto che alla fine delle partite ci si trasforma e sembrano tutti altre persone. Certo che in questa stagione i risultati del Napoli portano Luciano a essere in un periodo sereno. Però è uno spontaneo: quando ha delle dire delle cose, vengono sempre fuori delle interessanti conversazioni. Mi piace che usa spesso delle metafore anche simpatiche. Da un punto di vista comunicativo è un top. Poi è chiaro: nelle interviste post partita gli allenatori sono spesso sotto pressione e mi rendo conto che ogni tanto ci può essere qualche uscita a vuoto».
Ma torniamo alla lotta scudetto: che effetto le fa immaginare che ci saranno altri ragazzi capaci di compiere la vostra stessa impresa?
«Tutti noi che abbiamo fatto parte di quell’epoca non siamo contenti: ma di più. Perché ci possiamo immedesimare in quello che stanno provando adesso i ragazzi di Spalletti».
Anche se adesso le circostanze sono un po’ diverse…
«Cambia l’avvicinamento all’evento, perché noi arrivammo fino in fondo a giocarcela, mentre loro possono avere un pizzico di leggerezza in più, con un tale vantaggio da poter metabolizzare con un po’ di anticipo quello che potrebbe essere. Noi possiamo essere soltanto felici del fatto che il nostro circolo ristretto ora si potrà allargare. Vuol dire che il lavoro che è stato fatto è stato fatto bene».
In quel circolo c’è anche il suo amico Diego.
«Per lui è stato un anno particolare: prima il Mondiale dell’Argentina, poi lo scudetto del Napoli. Ci sono tante cose che riconducono a Diego, lui che è stato il nostro rappresentante per eccellenza e sempre lo sarà. So perfettamente quanto lui possa essere felice anche da lassù».
Questo Napoli è pronto anche per vincere in Champions?
«È una competizione diversa, una competizione brutale. Come tutte quelle a eliminazione diretta, sai che non puoi permetterti il minimo errore. In Champions devi essere fortunato nel sorteggio e non puoi sbagliare nulla. La fortuna e la sfortuna incidono molto di più che nel campionato che è una corsa a tappe nella quale se sei più forte e sei più costante vinci».
E il Napoli ha anche questo tipo di competizione delle corde?
«Per quello che ci ha fatto vedere la squadra di Spalletti direi che sono in grado di andare il più avanti possibile. Di sicuro immagino cosa sarà il Maradona mercoledì al ritorno contro l’Eintracht e poi credo che siano le altre squadre a non volere incontrare il Napoli nei turni futuri».
Perché?
«Per battere gli azzurri, o almeno per provare a tenere loro testa devi snaturare il tuo gioco, ovvero come ha fatto la Lazio».
Da difensore, chi le avrebbe dato più fastidio da marcare Kvara o Osimhen?
«In carriera mi è toccato marcare tanti esterni forti, penso a Bruno Conti su tutti, e a qui tempi si prendeva l’avversario a uomo. Forse per me sarebbe stato più fastidioso Kvara con quelle finte sempre improvvise. Con le finte andavo sempre dritto sull’uomo perché non le capivo».
Ha vestito anche la maglia della Nazionale che il prossimo 23 marzo torna a Napoli dopo 10 anni.
«Mi sarebbe piaciuto essere al Maradona, ma purtroppo sarò all’estero e mi dispiace».
Cosa si aspetta dal pubblico?
«Ci sarà l’entusiasmo giusto e sono contento era giusto ritornare in questo stadio che per la prima volta ospita la Nazionale da quando è stato intitolato a Diego. Però se penso alla Nazionale a Napoli mi emoziono particolarmente e mi commuovo».
Prego.
«Non riesco a non pensare a Gianluca Vialli e a quei due gol che fece contro Svezia proprio in questo stadio».
Che rapporto avevate?
«Era un qualcosa che andava fuori dal campo e oggi mi manca tanto. Abbiamo condiviso di tutto e per fortuna ci ha lasciato tanto. Non mi stupiscono i tantissimi tributi che il mondo intero continua a riservagli: so che persona era e so quello che ha trasmesso anche nei momenti più difficili della sua vita. Già durante la sua carriera da calciatore ci aveva trasmesso la sua grande capacità di essere un trascinatore. Non è stato solo un campione in campo, ha rappresentato qualcosa di più e ha lascito un segno in tutti noi».
Insieme in Nazionale, ma anche alla Juve.
«Fu lui a chiamarmi nel 1994 a convincermi a sposare la causa bianconera. Io avevo anche altre offerte e lo prendevo in giro: Mi vuoi per vincere?, gli dicevo. E alla fine insieme abbiamo vinto tutto».
A proposito di Nazionale e di Napoli: per chi tifò il popolo napoletano durante Italia-Argentina del Mondiale 90?
«Se Diego toccava la palla ovviamente e giustamente non c’erano fischi. Ma penso che se avessimo vinto quella partita e fossimo arrivati in finale, nessuno avrebbe mai pensato di far caso all’eventuale tifo dello stadio».
I cori, invece, si sentono eccome oggi negli stadi, e troppo spesso sono di matrice razzista. A La Spezia hanno anche infangato la memoria di Maradona.
«Sono cose che vanno condannate con durezza. I responsabili vanno puniti e alla svelta. Chiudere i settori di uno stadio non credo sia una misura sufficiente. In questo modo non ne veniamo fuori».
E allora?
«Ricordo quando ero sugli spalti di una gara in Inghilterra: Chelsea-Psg di Champions. Davanti a me in tribuna si sono alzati tre tifosi francesi e hanno iniziato a inveire contro l’arbitro: non hanno fatto in tempo a risedersi che sono stai cacciati dallo stadio. Ecco perché dico che le possibilità ci sono, basta volerlo. Sono piaghe che esistono da quando giocavo io».
Lei cosa suggerisce?
«Bisogna continuare a sensibilizzare dal basso con una cultura sportiva che deve cambiare. Deve partire dalle scuole, ma soprattutto dalle famiglie, per provare a istruire i tifosi di domani. Noi adulti dobbiamo essere il primi a inculcare i valori sani ai figli, valori di condivisone e gioia».
A cura di Bruno Majorano (Fonte: Il Mattino)