Fu per un giorno o una settimana cosa volete che conti? e chi invece la sta scrivendo, fino a trasformare gli uomini in leggende: c’è questo calcio che vive in un limbo, essere o non essere, e che le emozioni non le cataloga inseguendo la logica, ma il battito del cuore. C’è stato un Napoli, appena cinque anni fa, che s’è preso la città, l’ha illanguidita e scatenata, l’ha elevata a sognatrice, l’ha fatta adagiare tra petali di rose, come se fosse in un’eterna luna di miele: e pure quando tutto si frantumò nella opacità di un albergo, non rimase traccia di abbrutimento, fu un dolore scatenato dal destino e da quei 91 punti trasformati in granelli di rabbia. E però, però, parve quel tempo sacro e irripetibile, l’opera unica di una Grande Bellezza calcistica, un Oscar per il miglior attore non protagonista (sul trono). E invece, proprio quando s’è avuta la sensazione che avessero portato via il Red Carpet e pure i figuranti, eccola la scena madre di questo Capolavoro che ora sta azzerando il tormento e persino quello strazio, c’è un altro Napoli, in qualcosa somiglia al predecessore, ha le radici toscane dei suoi Cicerone, il ritmo incessante del 4-3-3, analogie che però inducono ad accapigliarsi dinnanzi al dilemma esistenziale del calcio, ch’è un gioco e induce a giocare: qual è il migliore, questo o quello?
Fonte: CdS