E’ così che va: mentre un sindaco annuncia che bisogna pur inventarsi qualcosa, una festa, c’è un allenatore che prova a resistere dinnanzi alle divagazioni estreme, resta inchiodato sulla sua panchina e nella propria nuvola, e frena, perché niente altro potrebbe fare. «Non vorrei si facesse confusione tra realtà e scaramanzia: il lavoro mi impone massima attenzione, qui nessuno si permette di comprare pasticcini e spumante, tranne nei giorni in cui ricorre il compleanno di qualcuno di noi. Perché so bene cosa possa riservare il calcio e un anno fa è successo». Quando il Napoli di questa nuova, enorme, imponente Bellezza stava nascendo, e in pochi se ne erano accorti, ad Empoli accadde il finimondo: da 0-2 all’80′ a 3-2 all’87, con dentro i processi, l’insurrezione di massa, la necessità di Aurelio De Laurentiis di andare a casa di Mertens per portare un pensierino al piccolo Ciro e in qualche modo placare i malumori popolari lasciando intravedere la riconferma del suo papà e infine (infine?) pure i soliti luoghi comuni all’incontrario. Il 24 aprile del 2022, solo 307 giorni fa, si scatenò una specie di finimondo, l’apocalisse e quasi come se non ci fosse un domani, non si ebbe neanche il sospetto che in fin dei conti è così che va quando si ha a che fare con un pallone. «Quella sconfitta distrusse mesi e mesi di fatica. E io che conosco le geometrie dell’Empoli so bene quanti rischi potremmo correre pure stavolta. Qui ci vogliono gli occhiali del fabbro, che costringono a guardare un punto fisso, semplicemente in avanti, ignorando i contorni». Mentre il derby del cuore sta per iniziare e Luciano Spalletti potrebbe specchiarsi o nel proprio vissuto o in quei quindici punti che lo separano dall’Inter, il «nemico» più vicino che sta a distanza siderale, va domato o ammorbidito o semplicemente neutralizzato, evitando spargimento di leggerezza, peggio ancora di presunzione. «Gomme piene e via, non pensiamo ad altro. Noi percepiamo la sensazione di questo amore infinito che ci riserva la nostra gente, per cui non bisogna commettere il minimo errore: non permetteremo che succeda». E ci sarà un turnover moderato («non ci sono giocatori da gestire, stanno tutti abbastanza bene e questo aumenta i miei dubbi»), una possente immersione in questa gara che come le altre, né più e né meno, diviene uno spartiacque, in attesa che la matematica faccia il proprio dovere. «Noi vogliamo giocare sempre un buon calcio».
EXTRA. Il suo Napoli ha varie facce e potesse le utilizzerebbe tutte per raccontarle: «A un calciatore come Di Lorenzo cosa vuoi dire? E a Osimhen che continua a fare strappi all’80′ cosa si potrebbe aggiungere? E Lobotka che avrei voluto già all’Inter, quando me lo segnalò Alessandro Pane, mio collaboratore? E Anguissa che va da una parte all’altra in un attimo, passando dalla fase attiva a quella passiva con generosità?». Sono i suoi extra-large che però paiono extraterrestri.
IL PRIVATO. Non a caso, però, a Spalletti è stato assegnato il premio «Bearzot»: «Mi inorgoglisce. Averlo a casa mia mi fa sentire più forte». Ma in una vigilia romantica, c’è poi la piega del dolore per la morte di Maurizio Costanzo: «Negli anni in cui non esistevano Internet e pay tv, se non ci fosse stato il Maurizio Costanzo show, si sarebbe dovuto andare a letto alle dieci di sera. E’ stato un giornalista di uno spessore superiore alla media, un uomo importante e sono molto dispiaciuto per la sua scomparsa» .
Fonte: CdS