Jack:
«Una cosa che non puoi conoscere a Napoli è la solitudine. L’affetto quasi si può toccare, è una carica necessaria. E io da solo non so stare, non so dire no a un caffè in compagnia, anche serie tv e film devo vederli con qualcuno…». Giacomo Raspadori, con quella faccia da bravo ragazzo e la “cazzimma” napoletana che si sente «dentro da sempre», non camminerà mai da solo in città. C’è una bellissima simmetria con “You’ll never walk alone”, l’inno di quel Liverpool che il Napoli ha strapazzato al debutto di Champions, spiegando che tutto è possibile. Anche ritrovarsi in campionato quindici punti avanti, sognare i quarti di finale mai raggiunti, sembrare una squadra inglese e, personalmente, contare alla rovescia i giorni che mancano a Italia-Inghilterra a Napoli il 23 marzo, possibilmente da titolare. Martedì s’è fermato in allenamento per un risentimento muscolare alla coscia sinistra che gli toglierà il Sassuolo e l’andata con l’Eintracht: gli esami, tra oggi e domani, si spera restituiscano ottimismo.
Ad agosto le hanno detto: «C’è il Napoli»… «Un’emozione forte. Non avevo giocato tanto ad altissimo livello. C’erano altri club, ma il Napoli ha avuto più fiducia».
Cos’ha imparato in sei mesi? «Ad avere consapevolezza di me stesso. Sicurezza. Sono un timido emotivo, anche se non sembra. La Champions subito, gli allenamenti intensi, la pressione, il risultato che conta molto di più: un inizio che fai fatica a sognare».
Anche se le farebbe piacere giocare di più, no? «Normale, essendo ambizioso. Ma la nostra forza è sentirci parte del gruppo, tutti titolari quando siamo chiamati in causa».
Cosa le ha detto Spalletti? «Che ha grande stima. Non erano parole, visto che mi sta schierando in tanti ruoli. E io sono a disposizione della squadra».
Collaborazione e solidarietà sembrano una missione. Dionisi diceva che la sua vera forza è «lavorare per il gruppo e aiutare gli altri». «Mi riconosco in questa immagine. Sono cresciuto per aiutare gli altri, nello sport di squadra come il calcio e nella vita. Vengo da una famiglia che con l’attività in parrocchia e nella società civile mi ha trasmesso questi esempi. Con Dionisi era facile, ha permesso a noi giovani di sbagliare e così non ci ha fatto perdere la Nazionale».
Centravanti, falso 9, trequartista, seconda punta… Troppi ruoli forse? «No, anche se la mia posizione naturale è al centro, dove ho cominciato: prima punta o trequartista. Diciamo un 9 e mezzo».
Lippi ha detto che gli ricorda Dybala, per Savoldi è il nuovo Mertens, lei ha detto di sentirsi «un po’ Mancini e un po’ Vialli»… «Penso di avere qualcosa di tutti questi simboli».
Per Mancini lei potrebbe essere una mezzala… «Anche per Spalletti. L’ho fatto in allenamento e in amichevole, sono entrato così con la Lazio all’Olimpico. Mi sento più attaccante, ma posso migliorare, più Zielinski che Anguissa. Se un altro ruolo mi fa giocare di più, perché no?».
Perché nel Napoli qualunque attaccante segna a ripetizione? «Perché il calcio che sviluppiamo fin dalla rimessa in gioco di Meret ha un solo obiettivo: il gol. Non conosciamo retropassaggi, andiamo in profondità, creiamo situazioni offensive. Spalletti ha capito che, per le nostre caratteristiche, era più facile arrivare al risultato attraverso il bel gioco».
Come Mancini all’Europeo. «Lui e Spalletti hanno in comune la gestione del gruppo: far sentire tutti importanti. Ringrazio Mancini: nonostante l’esperienza zero, mi ha portato all’Europeo. Ora Spalletti mi sta trasmettendo tanti concetti calcistici».
Poca esperienza ma buona… «Ho debuttato in A dal 1’ in Lazio-Sassuolo l’11 luglio 2020, con un gol. Un anno dopo, l’11 luglio 2021, abbiamo vinto l’Euro. Belli certi segnali».
Era il Sassuolo di De Zerbi. «Un grandissimo, lo dimostra in Inghilterra. Bella persona. Il primo anno ho giocato poco, ero giovanissimo, ma mi dava fiducia. Quando si prospettò il prestito in B, ha preteso rimanessi».
Mancini le ha dato la gioia massima e il dolore più grande. Come evitare che accada di nuovo? «Fin qui ho raggiunto tutti i risultati con lavoro e ambizione. Non conosco altre strade. La delusione mondiale è stata immensa, ora c’è l’Europeo e dobbiamo essere pronti fin da Italia-Inghilterra a Napoli. Non so cosa darei per una maglia. Ma sono sicuro che non mancherà l’affetto della gente, come se giocasse il Napoli. All’Inghilterra comunque ho segnato in Nations…».
Lei, Scamacca, Immobile e Kean i pochi centravanti. Si sente di una razza in estinzione? «No, c’è tanto talento, non è vero che abbiamo poco spazio, non più, anche se all’estero è più facile. Ma non tutto è dovuto perché siamo giovani. Al talento serve lavoro e carattere».
Ha un fisico normale: il calcio è democratico. «Come mi dicevano da ragazzo, la palla scivola per terra e il calcio è saperla controllare».
Le hanno detto che parla come un laureato? «Sono cresciuto pensando all’oggi per essere migliore domani. Ho alle spalle una famiglia che mi ha insegnato grandi valori. Studio e calcio vanno di pari passo. Ho il diploma scientifico, studio Scienze Motorie, dieci esami su ventidue. Una sfida. Tanti pensano che lo studio sia alternativo, per me è un valore aggiunto, capisco meglio gli allenamenti».
Sincero: Spalletti è più rigoroso dei suoi prof universitari? «Ehm, sì. Non dà il 30 facile. Ma neanch’io mi do il 30. È un modo di pensare che aiuta a spingersi oltre, se non è un’ossessione. Spalletti si fa sentire, però tutto quello che propone, anche se lo dice in maniera più brusca, lo fa per non farci abbassare la guardia. Il rischio c’è».
Ora non dica che la parola scudetto è vietata… «Sarebbe ipocrita non parlarne. Una grande occasione costruita con il lavoro di tutti i giorni. È dalla prima giornata che ce lo siamo messo in testa, la mentalità è stata quella giusta, pazzesco l’affetto dei tifosi. Viaggiamo senza mai ricordare di avere dieci, quindici punti di vantaggio, pensando solo a farne altri tre nella prossima. E se gli avversari perdono non ne parliamo».
C’è anche la Champions. Se c’è una squadra che in Europa ha giocato bene è il Napoli. «Altra grande occasione. Se manteniamo concretezza e spensieratezza, in Europa non ci sono limiti. Questione di mentalità, guardiamo solo noi stessi. L’Eintracht è una squadra europea, sempre all’attacco, testa sgombra. Non so se siamo favoriti, ma abbiamo tutto per superare il turno».
Dov’era nel 2010 quando l’Inter ha vinto l’ultima Champions italiana? «Alle elementari».
Cosa serve a Inter, Milan e Napoli per essere più vicini a Bayern, City e Psg? «Che il modo di vedere il calcio sia più legato al divertimento. In Italia la pressione che ti schiaccia. De Zerbi lo ha detto: la Premier ha compiuto un passaggio mentale, noi non ancora».
Cos’è Napoli, uno stato della mente? «La prima cosa che si sente è che Napoli città e Napoli squadra vanno di pari passo. Gioiscono e sono tristi assieme. Da nessuna parte il calcio è così. Vivo a Posillipo. Per chi, come me, non è abituato è incredibile alzarsi e vedere il mare da casa. E l’inverno non c’è stato».
Si sente napoletano? «Sì. Forse da sempre. Mi dicevano che avevo la “cazzimma” napoletana per il mio modo di stare in campo. Spalletti l’ha percepito subito. Giocando ogni tre giorni non ho il tempo di godermi la città, lo farò d’estate».
Con Elisa… «Uno dei segreti del mio ambientamento veloce. Siamo cresciuti insieme, abbiamo fatto il salto, conviviamo, questo è il primo vero spostamento. Mi dà serenità ed equilibrio».
Cosa non le piace di Napoli? «Non sono abituato al suo caos, camminare inosservato è impossibile, ma il caos è affetto. Devo avere la forza di dire no, altrimenti tornerei a casa ogni giorno con quindici mozzarelle... (ride, ndr)».
Che presidente è De Laurentiis? «Emozionale. Può sembrare più esuberante come la città, per chi non è nato qui, ma è normale. Mi ha detto subito di aver fatto un investimento importante su calciatore italiano perché ci crede».
Magari un giorno le proporrà un film. «Non ancora, ma mai dire mai…».
Niente tatuaggi: oggi è rivoluzionario, no? «Può darsi. Ma non c’è niente di male, la mia è solo una scelta estetica. Tanti dicono “quello è un bravo ragazzo” perché non ha i tatuaggi, ma ci sono brutti tizi che non li hanno e viceversa».
Tempo effettivo, Var, offside automatico: idee? «Sono un po’ vintage, mi piace il calcio classico, ma questi sono miglioramenti necessari per risolvere situazioni oggettive. Non si tiene conto che alla sperimentazione serve tempo. Bisognerà fare qualcosa per le perdite di tempo: chi paga non le vuole».
Quando ha visto Argentina-Francia... «Ho pensato che il calcio italiano deve tornare a quei livelli. Magari cominciando dal Napoli».
Fonte: Gazzetta