Ci sono cinquantuno sfumature d’azzurro in questo Napoli. Nessuno così in Europa

Nessuno viaggia a ritmi così alti nelle leghe top

Cose dell’altro Mondo, anche di un’altra Europa: e sarebbero cose da pazzi, se non fosse diventata improvvisamente la normalità. Ma ora che si è sparsa la voce, diffusasi alla velocità della luce, chissà se sta cambiando la percezione del «pericolo» d’una valanga azzurra annunciata come se fosse una slavina. Mentre l’Italia se ne sta ormai virtualmente rassegnata, e magari giustamente e silenziosamente in attesa che la crisetta vagheggiata qua e là per gennaio possa manifestarsi a febbraio, nel Vecchio Continente, in questa specie di Superlega che si può allestire a tavolino, le distanze tra Napoli e il resto della Champions League s’allargano, e in quell’abisso si può restare sbalorditi oppure con gli occhi spalancati che invocano pietà. Mettendosi comodi, incrociando tutto quello che trascina nel calcio più fascinoso ch’esista, adagiando lo sguardo dietro il buco della serratura di quegli ottavi di finale che stanno per irrompere nel quotidiano d’un football stellare, i ventisette punti che separano il Napoli dal Liverpool rappresentano la fotografia (gigantesca) di questa rivoluzione copernicana che riscrive la Storia stessa di questi giorni e induce a forme di stupore anche grossolane, almeno come quel gap che ora tiene Spalletti e Klopp su pianeti inavvicinabili. Forse, era già tutto scritto nel 4-1 del 7 settembre, la prefazione d’una disfatta insospettabile e ingovernabile dai Salah e dai Firmino, dai Van Dijk e dagli Alexander-Arnold, da un club che non starà mai solo (e abbandonato) ma che ripensandoci, quella sera, mentre Kvaratskhelia e Osimhen razziavano nell’area di rigore dei Reds, cominciò a sospettare che stava per chiudersi un’epoca. In questa speciale classifica delle fantastiche sedici della Champions che verrà, il Napoli è l’alfa e il Liverpool l’omega, gli estremi che non si toccano, non si sfiorano e si ribellano ai luoghi comuni sul danaro che in teoria non è tutto e in pratica aiuterebbe a vivere meglio: il campo, un caveau sentimentale, ha bruciato i 931 milioni di euro di Anfield ed ha già moltiplicato il valore dell’oro del «Maradona», che su transfermakt ha raggiunto i 543 milioni.

 

LORO, ANZI L’ORO. Se questa Champions che sta per sbarcare nei sogni degli umani fosse un campionato a sedici squadre come la vecchia serie A, il Napoli potrebbe starsene a dominare il panorama dal proprio attico, con il Psg a due punti e il Benfica a tre e poi, indossate le ciabatte, si potrebbe persino permettere di sentirsi un marziano, avendo il Real Madrid, il City e il Porto a undici punti, parenti lontani d’una elite sfigurata da così tanta Bellezza.

BOOM. Ci sono cinquantuno sfumature d’azzurro in questo micro-universo che si perde negli abissi costruiti ad arte da una squadra divenuta uno strepitoso modello da esportazione, ma il made in Napoli by Luciano Spalletti è ormai un marchio internazionale, una griffe che sublima l’arte e l’inventiva, ed è fashion nonostante il Bayern (56 reti) ed il City (53) abbiano segnato di più; è glamour pure se Benfica (12) e Porto (11) subiscono un gol a cadenza quindicinale, più o meno.

RICORDI. Quando la Champions League mise la palla al centro, tanti mesi fa, il Napoli non sapeva quasi niente di sé, se ne sarebbe accorto in fretta, con cinque vittorie, venti gol segnati, una sola sconfitta – inutile, un graffietto impercettibile – all’ultima giornata, anzi negli ultimi 10’ a Liverpool. E quella sera, uscendo da Anfield, incamminandosi verso Bergamo, un altro faccia a faccia da far impallidire, non s’era certo diffuso il timore d’essere al cospetto d’una squadra plasticamente meravigliosa, con sei punti di vantaggio sul Milan. Un’era geologica fa, c’erano barriere invisibili e il sospetto che – forse, chissà? – magari s’era dinnanzi ad un fenomeno passeggero o a un miracolo esclusivamente italiano: gente di poca fede, e ora come la mettiamo? Napoli-Europa, è un viaggio nel sogno (allargato)…

Fonte: CdS

 

 

 

 

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