Dev’esserci il trucco e anche l’inganno in questa dimensione onirica, dove tutto sa d’incenso (e forse pure oro e mirra): più tredici, ma cosa volete che siano?, e quel ch’è scritto nelle classifiche, il capocannoniere, un attacco da mille e una notte, e una difesa da mezzogiorno di fu o co. «Se continuiamo a fare discorsi trionfalistici, le partite possono trasformarsi in trappole». Il calcio è un’arte complessa, prevede sottili percors i psicologici che si fondono con la tecnica e con la tattica, e stando seduto su un tappeto di chiodi, perché stavolta la vita può cambiare, Luciano Spalletti esce dal cono di luce abbagliante, si sistema nella sua umanissima prudenza e scaccia via qualsiasi tentazione celebrativa, che di solito non gli appartiene e che stavolta va persino soffocata intorno a sé: «Per fare la Storia, serve altro». È stato tutto così facile questo semestre azzurro, che le vigilie rischiano di trasformarsi in happy hour con i quali avvicinarsi a quello scudetto che a Napoli viene cucito (virtualmente) sul petto un giorno sì e l’altro pure, ma ci sono diciotto partite («e tre per 18 fa 54…»), arriverà la Champions tra un po’ che si trasformerà in pensiero dolcemente ossessivo e ci sono precedenti in un passato più o meo remoto che spingono Spalletti a sfruttare la cautela che non gli riesce di utilizzare in campo, dove tutto sa di spudorata allegria, d’un calcio gioioso che rapisce. «Lo Spezia cerca i punti-salvezza che merita club e città meritano: sono stato lì e so quanto tempo dedicano al calcio. Per noi non cambia nulla, vogliamo la vittoria che sarebbe importantissima, perché io continuo a vivere alla giornata. Ci mancherà la nostra gente, avessimo avuto la nostra curva ci saremmo sentiti più forti».
PROFILO BASSO
Ne sono successe di cose da agosto in poi, ma non è ancora arrivato il momento di confessare come, quando e perché Spalletti ha avuto la sensazione di essere riuscito a realizzare il proprio capolavoro, quell’impasto magico ch’è il Napoli e che ha demolito pure i luoghi comuni su un gennaio da brividi. «Così veniva detto difficile , ma noi ci siamo allenati bene, ci siamo dedicati ai particolari e la risposta dei calciatori è arrivata».
Ma si è appena un po’ oltre la metà dell’opera e Spalletti sgretola – una ad una – le visioni favolistiche del suo Napoli, si rifugia in un profilo basso che fa da scudo per procedere poi incontro al destino: «Una delle sei squadre che inseguono potrebbe realizzare quello che abbiamo fatto noi finora. Ci sono rivali forti che sono in grandissima salute. Ci vuole la consapevolezza che soltanto i fatti e i risultati saranno capaci di scrivere la storia. Affrontiamo un avversario che sa palleggiare, sa come mettere in difficoltà le grandi e lo ha dimostrato in questa stagione. C’è ancora tanta strada da fare, le cose eventualmente accadranno al momento giusto».
E per provare a pensare che nulla sia ancora cambiato nel proprio vissuto, da La Spezia partirà come sa: Osimhen più altri dieci. «Un titolare ve lo do : è lui». Poi, sarà un calcio che vorrà disegnare un sogno, però standosene fuori – lontani, distanti – dall’appagamento: sarà uno stadio stretto, una sfida uomo contro uomo in qualsiasi zona del campo, e sembra il blablabla d’una vigilia finta , mentre invece è chiaro che Spalletti ha una missione, nel suo piccolo: convincere il Napoli a non indietreggiare un attimo, perché il bello deve ancora venire.
Fonte: CdS