Non è una questione di numeri, di prezzi e persino di plusvalenze, la Juve va condannata per i suoi «comportamenti». È il telegramma che riassume le 36 pagine delle motivazioni con cui la Corte d’Appello a Sezioni Unite della Figc spiega la stangata del -15 in classifica e la collezione di inibizioni destinate ai dirigenti della vecchia gestione juventina, dai 2 anni e mezzo a Fabio Paratici ai 2 anni all’ex presidente Andrea Agnelli. Il cuore della sentenza si può sintetizzare in una parola chiave: «slealtà». L’angolo di Codice di giustizia sportiva decisivo è proprio lui, il famigerato articolo 4, quello che appunto sottolinea la necessità per tutti i «soggetti dell’ordinamento» di rispettare i doveri di «lealtà, correttezza e probità». Combinato con le scorrettezze “gestionali” dell’articolo 31 porta alle sanzioni shock. Che ora dovranno però superare anche l’ultimo ostacolo almeno nell’ambito della giustizia sportiva, il vaglio del Collegio di garanzia del Coni, la “Cassazione” dello sport, che dovrà rilevare l’eventuale presenza di vizi di forma e di violazione dei diritti di difesa. I legali bianconeri sono pronti a dare battaglia e nelle prossime ore sarà formalizzato il ricorso. L’udienza è prevista entro 30 giorni. Dopo il Collegio di garanzia ci saranno nel caso Tar e Consiglio di Stato.
Vocabolario Ci sono alcune parole che fanno da cicerone alla scoperta dei motivi che hanno portato al -15, una sorta di “vocabolario” della sentenza. Si può partire da «impressionante», l’aggettivo usato dai giudici per descrivere la nuova «mole di documentazione probatoria» emersa dalla lettura delle carte dell’indagine dei pm di Torino. Poi c’è «fraudolento», il sistema juventino che la Corte nei primi processi «non aveva potuto conoscere». Quindi «devastante», sul piano della lealtà sportiva la mancata presa di distanza della Juve dal famoso “libro nero” di Paratici compilato da Cherubini. Ma c’è anche un «nascondimento» di documenti sull’affare Pjanic-Arthur con il Barcellona e gli interventi «manipolatori» nella negoziazione con l’Olympique Marsiglia in occasione dello scambio dei calciatori Akè-Tongya. Qui il punto maggiormente significativo è quello riferibile alla fatturazione. Infatti, «la fattura emessa dal Marsiglia con destinatario la Juventus e con causale “compensazione” dell’operazione di scambio viene materialmente corretta a penna e “barrata” in ogni dove e riscritta dalla Juventus e rispedita al mittente chiedendo di modificarla. E ciò, per evitare che potesse essere compreso all’esterno che l’operazione era effettivamente di mero scambio (cioè permuta) e non certo composta da atti indipendenti». Insomma, il quadro probatorio è «inequivocabile». E «inevitabile» è «l’alterazione del risultato sportivo». Quest’ultimo passaggio è quello che motiva la maggiore durezza della sanzione rispetto a quella proposta dalla procura federale (che aveva chiesto 9 punti di penalizzazione per il club). E sì perché «tutta questa considerazione porta dunque a una sanzione che deve essere proporzionata all’inevitabile alterazione del risultato sportivo che ne è conseguita».
Tutto legittimo Ma se questa è la parte sul merito, c’è anche una lunga questione di metodo. In pratica: era giusto riaprire il processo dopo le due assoluzioni di primo e secondo grado? Sì, dice la Corte d’Appello, perché se «avesse conosciuto i fatti prima ci sarebbe stata una decisione diversa». Quindi non si è tornato su qualcosa di «già deciso», ma si è venuti a conoscenza di «fatti decisivi» per l’esito del giudizio. Vengono smontate una a una le osservazioni delle difese, dal ritardo nell’impugnazione all’utilizzo delle intercettazioni. Bisognerà ora vedere se l’impianto reggerà anche davanti al Collegio di garanzia Coni guidato da Gabriella Palmieri Sandulli. Nella sostanza, la Corte ha detto: non stiamo a ricamare sopra quell’iper valutazione del tal giocatore, ma «un metodo di valutazione deve esserci». E deve essere «razionale, verificabile e ovviamente non discrezionale».
Non sistematico Ma perché in presenza di questa gravità, le altre società con i loro dirigenti se la sono cavata con un grande nulla di fatto e la conferma dell’assoluzione di primavera? Perché non c’è stato un atteggiamento «sistematico», ma solo vicende isolate. E «il sospetto non è sufficiente a determinare una condanna». E ancora «non c’è stata intenzionale alterazione dei bilanci».
De Coubertin Ora si tratta di capire se queste pagine potranno influenzare le puntate successive del caso Juve con i suoi diversi “dintorni”. Le manovre stipendi e il possibile coinvolgimento delle altre società (le partnership sospette citate nelle carte di Torino) vengono solo citate dai giudici di appello. Ma sarà un’altra partita o il proseguimento della stessa? Cioè: la durezza della sentenza influenzerà anche il nuovo percorso istruttorio che proprio di recente la Procura federale ha chiesto di allungare con altre indagini? Nel frattempo, ci saranno altri due bivi cruciali. Non solo il Collegio di garanzia, ma anche l’udienza per il rinvio a giudizio penale degli ex dirigenti juventini. Anche se, lo si è sottolineato pure nelle stesse motivazioni, la giustizia sportiva ha una sua specificità. La famosa «slealtà» che sembra essere stata il mantra della sentenza con tanto di citazione degli ideali di Pierre de Coubertin tirati in ballo proprio da un vecchio pronunciamento del Collegio di garanzia.
Fonte: Gasport