Cavalieri. Ne sono occorsi sedici per battere la Roma, il campionato e persino la speranza. Per gli altri è tempo di concentrarsi su…altro, perché lo scudetto si prepara a tornare qui, 33 anni dopo. Spalletti, mille occhi e mille braccia, come il suo Napoli. Il calcio che ritorna ad essere gioco. Di tutti: Osimhen, Kvara, Lobotka, Simeone, Raspadori. Dove il protagonismo individuale si alterna, e dove grazie a Spalletti tutti calcano la scena. E’ un leader, Spalletti e va a dormire con un +13 epocale sulla seconda in classifica.
Spalletti, i cambi sono stati decisivi. «Queste partite le vinci solo se fai vedere di essere determinato a vincere con tutti, dal magazziniere, ai dottori e ai massaggiatori. Sono gare complicate, chi è entrato ha dimostrato di essere già nel meccanismo della partita, stavano già giocando in panchina la gara con la Roma. Ed è quello che voglio. Se non hai tutti i giocatori entusiasti di quello che fa il compagno, diventa difficile poter arrivare così in alto».
Che gara è stata? «Con la Roma abbiamo avuto poca qualità e poco coraggio a far girare la palla come sappiamo fare solitamente. E così ci hanno montato addosso. Osimhen lo abbiamo servito male ed è stato bravo a sfruttare gli spazi che gli hanno concesso».
Ha vinto con Simeone e Raspadori? «Non si può pensare di far giocare sempre i soliti, dimenticando l’impegno settimanale degli altri. Bisogna sempre tenere in conto la voglia di ognuno di dimostrare quello che ha. Io ho visto tutti allenarsi bene, diventa difficile sempre togliere uno come Osimhen. Ma perché non dare la possibilità a qualcun altro che ha la potenzialità per fare bene? All’inizio dell’anno, quando Osimhen era ko, Simeone e Raspadori ci hanno fatto passare il turno in Champions. E allora perché non potevano giocare? Quando la testa è quella di Elmas, Olivera e di quelli che sono entrati, è facile poter fare delle scelte»
Cosa ha regalato a Mou per i suoi 60 anni? «Una statuetta di Pulcinella. Lo stesso dono che ho fatto anche a tutti gli allenatori che sono venuti qui a giocare la Champions».
L’esplosione di gioia della panchina è l’immagine simbolo della notte? «Vero, per un allenatore è la cosa più bella. La stavano giocando tutti la partita. Chiunque avessi buttato dentro, avrebbe dato la risposta vera. Ma la mentalità è quella che premia, è la molla che ci ha fatto vincere con la Roma. Avendo un po’ di punti di vantaggio non si deve gestire nulla. Si fanno le cose che la gente vuole vedere in uno stadio come il Maradona».
C’è stata una pressione diversa a giocare dopo Inter, Lazio e Milan? «Secondo me davanti a quei risultati, tutti devono avere ben chiara l’occasione che avevamo. E non ci sono cose che possono darti fastidio. La pressione la sappiamo gestire, sennò non eravamo qui, sennò non avremmo recuperato questa partita».
Il Mattino