Dove sono le stelle? In una notte che riempie Napoli di felicità, che trasforma l’aritmetica in una meravigliosa opinione, il percorso che conduce nell’Olimpo si è accorciato e la distanza dalle ombre che inseguono, perse nelle tenebre, si è allungata: tredici punti sull’Inter, quindici sulla Lazio e l’Atalanta e le altre sembrano sparite, dissolte da una macchina infernale che sa di estasi. 2-1 sulla Roma e non era mai accaduto che tra la prima e la seconda ci fosse quest’abisso nel quale Luciano Spalletti non si smarrisce, rimanendo incollato: «Sono contento di tutto quello che i ragazzi hanno fatto, della loro forza caratteriale, perché non era semplice giocare contro questa Roma, capace di riaprire la partita».
I CAMBI. Le nottate si interpretano nelle loro fasi, negli atteggiamenti, nei momenti – anche quelli più bui – che possono essere rimodellati con intuizioni dalla panchina o con la personalità emersa ancora e di nuovo da una squadra che sta “devastando” l’anima di una città incredula: otto successi consecutivi, la striscia più lunga di successi interni in una singola stagione della competizione dal periodo tra dicembre 1989 e aprile 1990 (e furono undici), quella che condusse al secondo scudetto e che adesso sembra introdurre al terzo, anche se per ragioni scaramantiche qua nessuno lo dice ma chiunque lo pensa. «Queste gare le conquisti se fai vedere di essere determinato a vincerla nel loro sviluppo, durante tutti i 90′. E’ stata complicata ma chi è entrato ha dimostrato che quella sfida la stavano giocando già dalla panchina con partecipazione palpabile. E queste qualità umani sono fondamentali, danno un senso. Se in un gruppo non c’è questa forma di coesione non si riescono a raggiungere certi risultati».
E’ stata la serata perfetta, in un Napoli-Roma che ha avuto riscontri tattici che hanno premiato Spalletti: «Non abbiamo mai avuto paura, siamo stati bravi a palleggiare a destra o a sinistra, siamo stati premiati nelle scelte. Ci è mancato il coraggio di altre circostanze, forse anche la qualità nel palleggio. E la Roma ci è venuta a giocare addosso».
CHE BELLO. In diciassette minuti, affinché fosse chiaro, lo strappo lo aveva offerto Osimhen, ipnotizzando il “Maradona” e quasi scioccando la Roma ma anche Spalletti: «Un gol bellissimo. C’è tutto in quel gesto, la tecnica, la personalità, la forza fisica con quella cannonata. Ha avuto la lucidità di sistemarsi il pallone, ha accettata la sfida tra due avversari. Fa contrasti, rincorre, va di testa: calciatore importante». E poi, ad un certo punto, via Osimhen ma anche Kvara, perché s’erano accese le luci, perché bisognava inventarsi qualcosa che sfuggisse all’ordinario: «Non si può far giocare sempre i soliti e pensare che possano usare tutto il tempo a disposizione. Ho altri che si impegnano settimanalmente, che in allenamento dimostrano di avere voglia e anche talento. Il compito degli allenatori è quello. E quando in passato non c’era Osi, Raspadori e Simeone ci hanno portato avanti in Champions. Ormai con le cinque sostituzioni è possibile, anzi è indispensabile provare a incidere in qualche modo e riconoscere a chi si impegna l’importanza del proprio ruolo».
E’ stata una serata d’emozioni, cominciata con l’abbraccio, gli auguri e il regalo a Mou («un Pulcinella, che è un po’ uno dei simboli della città») e chiusa evitando di mettersi a contare: c’è ancora una vita da vivere. E standosene lassù, non è per niente male.
Fonte: CdS