Alle 22.44, allo stadio Diego Armando Maradona, va in onda una scena destinata a diventare tra le immagini-simbolo di una stagione meravigliosa: Orsato fischia la fine della partita, Simeone si butta a terra stremato dalla fatica dopo l’ultimo possesso e Spalletti, piombato di corsa dalla panchina, si tuffa su di lui a fare festa. Un abbraccio che vale cinquantamila grazie. Sì: se la capolista se ne va, come canta il popolo azzurro, è proprio grazie al gol del Cholito. Un uomo all’improvviso: entra, la risolve con un golazo e fa impazzire lo stadio. Che lo applaude, lo invoca, lo acclama e ripete il suo nome; e lui esulta, alza le braccia al cielo e poi ancora. Centravanti di razza, vero, rapace: affamato come Osi e micidiale come Osi. L’uomo dei gol mai banali: a settembre l’aveva risolta a San Siro con il Milan, lasciando una traccia fondamentale su un campionato che sta assumendo i contorni di una marcia trionfale, e l’ha risolta ieri, scavando un solco profondo tra il Napoli e il resto d’Italia. «È stato incredibile, sono molto contento». Sofferente ma felice: «Avevo un po’ di mal di pancia… Ma ho dato tutto».
Come tradizione familiare. A proposito: con la rete di ieri, la famiglia Simeone ha fatto 100 in Serie A. Trenta il Cholo, papà Diego, e 70 il Cholito, ormai figlio di tutta Napoli. «Continueremo questa storia con i miei fratelli».
CHE CORAGGIO. E allora, l’argentino della gente. Il vice Osimhen, un fenomeno puro che anche ieri ha spiegato al mondo il motivo per cui Spalletti lo ritiene il migliore nel suo ruolo, che trasforma le briciole in polvere d’oro: 10 presenze e 161 minuti per Giovanni in campionato, entrando sempre dalla panchina, e 3 gol (record personale da subentrato). La media di uno ogni 53,6 minuti: chiaro? Una garanzia. Uno che finora ha regalato alla squadra due vittorie fondamentali in chiave scudetto: con il Milan il 18 settembre, un giorno prima del miracolo di San Gennaro, e poi ieri con una Roma tosta e pericolosa. «Abbiamo giocato una grande partita: avremmo dovuto chiuderla prima ma non ci siamo riusciti con una squadra così forte».
Lettura sacrosanta. «Alla fine, però, è stata una cosa incredibile: sono contento. Che bello».
Che gioia. E che coraggio. È lui stesso a raccontare un retroscena che attribuisce alla sua serata un valore ancora più grande: «Non mi sentivo molto bene, avevo un po’ di mal di pancia…».
“SIAMO IL NAPOLI”. Se non lo avesse detto, nessuno avrebbe mai potuto sospettarlo: per come ha corso, per come ha lottato e ringhiato, per come si è dannato fino all’ultimo istante. «C’è tanta fiducia, c’è un bel gruppo. Anche lontano dal campo ci sono tante cose belle in questo gruppo. Sono contento». Lo dice e lo ripete. E la sua esultanza, il bacio, gli abbracci e la corsa di Osimhen per celebrarlo dalla panchina sono la conferma delle sue parole. «Abbiamo conquistato tre punti importanti: continuiamo a lottare e dimostreremo ancora cos’è il Napoli. Ora bisogna pensare già alla prossima». La mentalità è questa, non sono parole di circostanza. Proprio come la sua dichiarazione dopo Cremona: non importa la quantità del tempo che giochi, disse, bensì la qualità. Lo ha dimostrato ancora una volta. «Quando entri nel secondo tempo è sempre più difficile trovare il ritmo e mettersi in pari, perché gli altri che sono in campo hanno un ritmo più alto. Io ho cercato di tenerlo e ho dato il massimo, è stato bello».
Il ritmo del Cholito è quello giusto: terzo gol in campionato – il primo al Maradona – e ottavo della stagione considerando anche la Champions (4) e la Coppa Italia (1).
Fonte: CdS