L’INIZIO
Il primo Napoli, raccolto con monte ingaggio lunare da limare, due qualificazioni Champions che soffocano i bilanci e (forse) il futuro, è una proiezione nell’immaginifico, si prende il terzo posto, lambisce lo scudetto, lo strozza per possibili limiti caratteriali, galleggia nella promiscuità d’un progetto che si sta fisiologicamente sgretolando, ed aspetta che ciò avvenga.
IL BOOM
In gestazione c’è il capolavoro, che appartiene a chiunque, ad una società coraggiosa, capace di sfidare il vento e le sommosse a testa alta e a petto in fuori; di un’area tecnica che Giuntoli guida ormai da otto anni e che si è andata arricchendo di talenti scovati nell’indifferenza altrui, Anguissa, Kim, Kvara tanto per fare tre nomi; di un allenatore che abbatte le convenzioni, trasforma in luoghi comuni le tavole dell’Antico Testamento calcistico – l’ambientamento necessario per gli stranieri; l’esigenza di avere un periodo sul medio lungo termine per trasmettere i propri concetti – e lascia che il suo Napoli esploda: cinquanta punti, il miglior attacco, la difesa più solida e Osimhen trasformato in capocannoniere – sono tante pailettes eppure sono persino niente. Perché l’occasione irripetibile è in quell’orizzonte, verdebiancorosso, in cui c’è la Storia. Fonte. CdS