Spalletti è un toscano di campagna, Allegri è un toscano di scoglio. Il primo è più filosofo, il secondo più diretto, ma tutti e due non si sottraggono alle polemiche, anzi le cercano. Spalletti è un creatore di linguaggio e fa largo uso di metafore. «Io non sono nato in Toscana – ha detto qualche anno fa -, sono voluto nascere in Toscana. Ho le gambe storte di chi fa solo sali e scendi e non può mai andare pari, su un terreno regolare. Guardi le mani. Anzi, no. Le tocchi proprio. Sono quelle di uno che ama stare nella campagna, potare le piante, dare da mangiare agli animali». Spalletti rivendica la matrice contadina, sinonimo di solidità e cultura del lavoro. Allegri per contro preferisce la leggerezza: «Da giovane – ha detto – mi piaceva molto cazzeggiare, a Livorno siamo così. E mi piace ancora: non si può vivere solo di lavoro. Quando sento gente che dice che bisognerebbe lavorare 24 ore al giorno penso: poi ti si fonde il cervello, ti scoppia la testa e non hai ottenuto un bel niente». Filosofie di vita in contrasto con gli stili di gioco. Lo Spalletti “ragazzo di campagna” dovrebbe essere un risultatista, un allenatore più attento alla concretezza che all’estetica. Il gaudente Allegri dovrebbe preferire il giochismo e la brillantezza. Eppure è il contrario, dimostrazione di come non si possa classificare niente e nessuno.
Fonte: Gazzetta