L’uomo dei sogni ha le idee chiare, ha un senso sviluppato della autostima della sua squadra – una combriccola di alieni che per quattro mesi non ne hanno perso una – sa dove posare lo sguardo e soprattutto i pensieri e in una vigilia che sa di Evento non si nega niente: Inter-Napoli è la sua partita, dentro c’è un biennio gonfio di sensazioni contrastanti, poi c’è il suo vissuto, al Bosco Verticale, dove, standosene in terrazzo, si può scrutare l’orizzonte, scudetto incluso. Eppure, in una vigilia del genere, evitandosi contorsioni dialettiche, Spalletti non rimane sul bordo di una notte ma si tuffa in un macrocosmo che comprende anche l’etica, che abbraccia i totem del calcio – da Pelé a Maradona – e rifugge dal manierismo, indicando in un simbolo, la numero 10, un esempio da non negare alle future generazioni. Però quando poi Inter-Napoli diventa l’epicentro di un’emozione, andando a rovistare nel proprio vocabolario, Spalletti svela se stesso.
«Sono questi grandi appuntamenti che consentono di diventare grandi. A me piace stare sotto pressione e questa è la nostra sfida, quella di una città intera. Siamo rimasti con la testa dove avevamo lasciato: abbiamo iniziato questo bellissimo viaggio diciotto mesi fa e in questa avventura non ci sono stazioni intermedie. Ci fermeremo solo quando sapremo come sarà andata a finire».
Da luglio 2021 a gennaio 2023, sembra quasi un attimo: e a un anno e mezzo dalla ricostruzione cominciata ripartendo dalle macerie ambientali trovate in una Napoli soffocata dai veleni, i retro-pensieri sono ricomparsi con la designazione di Simone Sozza, l’enfant prodige del settore arbitrale, per una sfida che pesa. «Noi non crediamo ad alcun complotto, ma se in tanti tirate fuori questo discorso vuol dire che il sistema è migliorabile. La prima qualità deve essere la credibilità e tutti noi addetti ai lavori dobbiamo essere bravi a badare ai nostri atteggiamenti per non alimentare questi dubbi».
Inter-Napoli viene quindi trasformata nello spartiacque tra due modelli di comportamento ma anche in uno spettacolo da gustarsi a pieni polmoni. «Ci aspetta un’avversaria che appartiene alla categoria dei top club e che negli ultimi tre anni e mezzo ha fatto investimenti da squadra di livello assoluto. Noi sapevamo da quando uscì il calendario che quella del 4 gennaio sarebbe stata una grande sfida».
Alla quale avvicinarsi senza alcuna macchia – come dice il passato – e però anche senza la paura che sembra scandita dalle cosiddette leggi dei grandi numeri e dalle umanissime ambizioni di chi insegue. «Le voglie altrui non provocano assolutamente nulla, a volte stiamo al gioco e dibattiamo su punti e virgole, mentre noi dobbiamo staccarci da tutte queste cose ed entrare in sintonia il più possibile con l’amore della gente».
Che se ne sta lì, composta, a scrutare il vento con gli occhi di un sognatore moderato: «Lo scudetto è la vostra ossessione, la mia è un’altra: voglio vedere impazzire di gioia questa città». Forse è la stessa, quindi, e magari sarà per prudenza o per scaramanzia che Spalletti se ne sta un filo dietro la retorica del trionfo tout court, e si abbraccia (idealmente) ad altro: «Pelé è stato un altro grandissimo dispiacere che abbiamo dovuto subire in questo periodo. Messi, Maradona, Pelé, sono stati i calciatori che hanno lasciato un marchio indistruttibile nel calcio, anche se in diverse fasi della storia. Ma a Pelé vanno fatti i complimenti, perché ha deciso di non lasciar ritirare la numero 10. Non è mettendo la maglia nell’armadio o in una teca che si ricordano i campioni ma è vedendola tutti i giorni addosso ai calciatori che fa tornare in mente ancora di più i fuoriclasse d’un tempo perduto». Nella Patria di Diego, sembrerebbe blasfemia: sarà argomento di dibattito, ma quando Inter-Napoli sarà finita.
Fonte: Cds