Il cielo sopra Via Campania, a Roma, butta giù talmente tanta acqua che verrebbe da chiedersi se lava pure i presunti peccati di Alfredo Trentalange.
Che, finito al centro della bufera dopo l’avviso di conclusione delle indagini della procura Figc sul caso D’Onofrio (arrestato per traffico internazionale di droga), continua a professarsi vittima delle circostanze. Il numero uno dell’Associazione Italiana Arbitri ieri è stato ascoltato dal procuratore Chiné; a via Campania, appunto, sede dell’AlA e anche della procura federale.
Gli è bastato scendere le scale per trovarsi faccia a faccia con l’uomo che l’ha accusato di aver violato i principi di lealtà e correttezza del codice di giustizia sportiva.
Di non aver accertato i requisiti di D’Onofrio prima di farlo procuratore (era ai domiciliari), di aver chiesto al vicepresidente della commissione disciplinare di non prendere iniziative contro di lui, di non essere intervenuto dopo le assenze sospette del procuratore e di aver mentito nel consiglio federale del 15 novembre. Il deferimento rischia di essere dietro l’angolo.
«Non sapevo nulla degli affari di D’Onofrio, sono innocente», ha ribadito Trentalange durante l’audizione.
In realtà, il suo percorso alla guida dell’AlA potrebbe davvero concludersi il 19 dicembre, quando in consiglio federale si discuterà del possibile commissariamento. Secondo gli avvocati il commissariamento servirebbe soltanto «per porre rimedio ad una situazione di pregiudizievole disfunzione» dell’AIA che «non ha più nessuna possibilità teorica di ripetersi». “Trentalange ha detto la verità» le parole del legale Gallinelli. Il suo futuro político, però, resta appeso a un filo.
Fonte: CDS