Il Napoli non è in vendita, tranquilli. De Laurentiis non ci pensa neppure. Basta vedere la determinazione con cui continua a lottare in Lega Calcio invocando una riforma vera della serie A (riduzione a 18 o addirittura a 16 squadre), invocando la necessità di un consiglio direttivo composto dalle società big (le otto più importanti) che abbia poteri decisionali e operativi, insistendo per una gestione dei diritti tv che riesca, sul serio, a cancellare la pirateria e ad alzare gli introiti. Non è in Turchia proprio per seguire da vicino le vicende del calcio italiano. Stando attento, però, a non cadere nella trappola del caso Juventus. «Però della Juve non parlo. Ci penseranno i magistrati che stanno verificando, non è compito mio. Mi spiace che il calcio non sia portatore di quei valori che devono essere di esempio per le nuove e le giovani generazioni. Una nuova Calciopoli? Non sta a me stabilirlo. Ma il calcio è malato dall’alto. Perché quando uno non vuol capire che non ci sono sufficienti risorse per portare avanti una certa tipologia di campionato e non si vuole fare quella che deve essere una vera rivoluzione copernicana perché si insegue l’obiettivo di essere rieletti. Questo delle rielezioni è il problema del mondo dell’industria, dei sindacati e anche dello sport. La sorveglianza quindi è latente, perché modificare per crearsi delle antipatie è difficile trovarla».
Il Mattino