In principio fu il ginocchio, il «retaggio» d’un infortunio «vecchio», assorbito faticosamente in Olanda e trascinato (ovviamente) con sé. Poi ci fu il Covid, una paura sorda, il terrore governato nel silenzio e nell’isolamento. E quando arrivò il problema ad una coscia, volendo, si poteva pure accogliere con un sorriso quell’ennesimo sgambetto del destino: tutto passa. «Ma quella notte ebbi paura». L’11 luglio, in genere, si consumano gli ultimi giorni di vacanza, si preparano le valigie, ci si lascia baciare dagli ultimi raggi di sole e si lascia che il pessimismo si depositi negli angoli bui del proprio vissuto: «Mentre io temevo per la vita…». L’11 luglio del 2021, che sembra ieri, Hirving Lozano stava guidando i propri pensieri verso Napoli, la città da (ri)conquistare, e in quel Messico-Trinidad e Tobago preparava la propria rivincita, da assaporare con discrezione: ci sono amichevoli che sembrano sia veramente tali, nell’accezione letterale del termine, e in un sfida del genere, sulla carta impari, il pericolo resta un dettaglio. «Mentre io mi ritrovai in ospedale a piangere». Al decimo minuto d’una sfida decorativa, la sorte scelse ancora El Chucky come vittima e in quel pallone apparentemente inutile, un capriccio da atleta vero, si nascondeva un agguato. «Il collo ebbe una torsione irregolare di 180 gradi…». Scontro frontale con il portiere avversario, ferita paurosa ad uno zigomo, il terrore dipinto sul viso dei suoi compagni, storditi e quasi straziati dinnanzi a Lozano, svenuto: la barella, il collare, la tomografia, il sospetto che ci fossero danni alla cervicale, l’occhio sinistro che sanguinava («sembrava fosse esploso») formavano pensieri spettinati e incontrollabili, in quell’atmosfera mesta. «Grazie ai medici sono stato fuori solo per tre mesi, ma era un miracolo essere sopravvissuto». Ora ch’è passato, che la memoria può scacciare via quelle sensazioni dolenti, il Mondiale è un risarcimento che la dea bendata offre al chuky per riprendersi un pezzo di se stesso ed offrirlo anche a quel Napoli che nel 2019, sollecitato da Ancelotti, scelse di crederci: 40 milioni, più otto di commissioni varie, per regalarsi quel «diavoletto» che in Russia aveva sedotto quell’allenatore ritenuto un mito. «Quando mi telefonò, stavo impazzendo, non potevo crederci: voleva che andassi al Napoli. E cominciò a chiamare ogni settimana, si informava sulle mie condizioni, chiedeva come stessi. Potevo mai dire di no?». Fonte: CdS