La mattina del 6 settembre del 2004, in quel caldo surreale, quasi spuntando dal nulla, Aurelio De Laurentiis uscì dall’ombra e con un colpo di teatro, da consumato «produttore», strappò il Napoli dagli abissi. L’estate più torrida, attraversata da iniziative folkloristiche e nel silenzio assordante dell’imprenditoria partenopea, venne arricchita inaspettatamente dal desiderio di Giampaolo Pozzo di provarci con il proprio background friulano e finì improvvisamente per adagiare il pallone e quel sentimento popolare tra le braccia di un uomo che di calcio sapeva niente ma che nel codice genetico «cinematografico» nascondeva in sé il fiuto per gli affari da sviluppare attraverso un’Idea nuova, alternativa, in contrapposizione alle tendenze, dunque vissuta seguendo la propria natura di manager.
L’USA CHIAMA. Diciotto anni dopo, quando da Mergermarket, il portale M&A che s’infila nel mercato dei capitali e svela le verità più secretate, emerge «l’interesse di una serie di fondi di investimento internazionali che potrebbero potenzialmente spingere il proprietario del club Aurelio De Laurentiis a prendere seriamente in considerazione le offerte per il prossimo anno», sembra che si stia chiudendo un cerchio.
BINGO. Non c’erano neanche i palloni, ed è vero, e mancavano pure le magliette: c’era la Storia, e ci mancherebbe, che però era appena stata depositata alla Fallimentare. E quando tutto è cominciato, tanto tempo fa, De Laurentiis non aveva nessuna intenzione di sedurre – e/o di conquistare l’America – ma s’accontentava di consegnare (il) Napoli alla sua dimensione, che Mergermarket ritiene ricostruita in questo ventennio scarso ma soprattutto adesso, attraverso l’evoluzione vissuta con Spalletti negli ultimi mesi. «Guardando le prestazioni nel campionato italiano, il Napoli si trova in una situazione ideale per essere venduto. E se dovesse vincere, la società vedrà aumentare le entrate, insieme alle richieste di sponsorizzazioni e ai diritti televisivi. Il club ha intenzione di costruire un nuovo stadio e potrebbe anche considerare proposte di private equity e il finanziamento esterno l’aiuterebbe a stimolare lo sviluppo del suo marchio, sostenendo il proprio progetto con l’apertura di negozi al dettaglio in città-chiave». Una vita fa, in quel settembre doloroso, mentre il Napoli ripartiva dalla serie C, il «visionario» Aurelio De Laurentiis codificava secondo usi personali la filosofia del Napoli, sempre snella, sviluppata attraverso la presenza di un amministratore delegato di consolidata fiducia (Andrea Chiavelli), l’inserimento di un uomo marketing che è stato radicato nel ciclo produttivo (Alessandro Formisano), e con una società agile nel pensiero, magari concentrata intorno ad un organismo sostanzialmente monocratico, con un proprietario sempre presente e tecnicamente disposto a delegare ai vari diesse (Marino, poi Bigon, infine Giuntoli) ponti di collegamento con gli allenatori che poi nel tempo ha voluto scegliere (spesso non sempre) in prima persona, avocando a sé altre responsabilità e il rischio d’impresa che Mergermarket ritiene premiato adesso da questo venticello caldo che spira frontalmente dagli States e che spazzola i capelli e pure l’orizzonte. «Il settore calcistico italiano sta attraversando una stagione “selvaggia” di fusioni e acquisizioni e l’industria calcistica italiana è in fase di consolidamento nel tentativo di diversificare rapidamente le sue attività ed essere redditizia». Business is business, dicono da quelle parti.
Fonte. CdS