Non c’è neanche un trofeo nel salotto di Victor Osimhen: eppure Valverde, con il Real Madrid, ha vinto tutto quello che poteva, Champions inclusa; e Gavi, il predestinato, nella narrazione e nel talento, si porta appresso la somiglianza, autentica o verosimile, con Iniesta o con Xavi, o con ciò che sia Barça. Non c’è neanche una gragnuola di gol nel cestino dei rimpianti di quest’anno ch’è volato via così, portandosi appresso un po’ gli effetti anestetizzanti del 2021 e un po’ quella sfortuna che per altre sette partite l’ha costretto a deambulare tra l’infermeria e la tribuna: e poi, maledizione, il Mondiale da guardare dal divano è insopportabile per chi c’è andato vicinissimo, e sul serio, ritrovandosi fuori solo per colpa del gol in trasferta del Ghana, nello spareggio. Cose dell’altro calcio. Però adesso, almeno c’è un venticello caldo che arriva da Dubai, e se l’hanno detto lì, dove hanno sistemato le tende del Grande Calcio, vuol dire che c’è un fondo di verità: nessuno è come Osimhen tra le generazioni emergenti, il più promettente di questa «meglio gioventù» nella quale si è fatto largo a colpi di spalla o con allunghi imperiosi o con stacchi da cestita della Nba o da saltatore in alto o vai capire cosa, se non quell’atletismo che ti prende alla gola e ti lascia senza fiato. Lui meglio di Valverde e di Gavi, ma di chiunque altro, senza che abbia avuto la possibilità di dimostrarlo sino in fondo.
Fonte. Cds