L’approfondimento di Maurizio Santopietro:
“Prima del bilancio sportivo, necessita una pur breve riflessione sull’assurdità di questo mondiale di calcio, per la seguente serie di fattori: la tempistica, che più infelice non si sarebbe potuto; la scelta di un Paese in cui la repressione dei diritti umani e civili è istituzionalizzata; i seimila e 500 morti durante i lavori di costruzione degli impianti; e l’ipocrisia, pure questa istituzionalizzata, della Fifa, tanto attenta al fair play, al rispetto, al razzismo…Se avessi voluto scegliere un mondiale da non giocare, sarebbe stato proprio questo. In tutto ciò, fa rumore anche il silenzio dei sindacati dei calciatori, che hanno già pagato in stress psico-fisico e in infortuni…
Ritornando al “condominio italiano”, la lunga pausa invernale impone di fare un primo bilancio, a quattro partite dal completamento del girone di andata. Il Napoli è dove nessuno si aspettata, che nemmeno i tifosi più accaniti avrebbero mai potuto sperare. Forse, a posteriori, la mancanza di alte aspettativa in città e altrove, ha anche “stimolato” la squadra a dare il meglio, il tutto di se stessa. Questo Napoli ha abbagliato per la luminosità di un gioco fin troppo scintillante, anche in Europa, divenendo un fenomeno da studiare da ogni punto di vista: quello finanziario-economico, abbassando di oltre il 30% il monte ingaggio; quello generazionale, ringiovanendo l’età media della rosa; quello tecnico, migliorando la qualità degli interpreti; quello tattico, fornendo all’allenatore maggiore possibilità di variazione di schemi; quello del clima psicologico dello spogliatoio, senza la presenza ingombrante dei “vecchi senatori”; quello del riconoscimento netto dei ruoli e delle competenze, da parte della società, delegando maggior raggio d’azione al direttore Giuntoli, nella conduzione della campagna acquisti nonché dello scouting, assieme all’azzeramento dell’esposizione mediatica di ADL, da cui il Club non ha mai tratto “benefici politici” (benché i contenuti molte volte sembravano giusti); e, non in ultimo per importanza, la capacità tecnica dell’allenatore nel gestire il gruppo-squadra: questo mix di variabili ha esaltato il “prodotto finale”, il primo posto (con un buon margine di vantaggio), ottenuto attraverso: l’estetica; la condizione agonistico-atletica; la creatività tattica, il coinvolgimento di tutti i giocatori della rosa, compreso Sirigu. C’è da sottolineare che la formazione base prevede nove giocatori su undici presenti lo scorso anno, con l’innesto di Kavara (che è già un fuoriclasse) e Kim (incredibilmente prestazionale), ma a fare la differenza sono stati gli uomini partiti dalla panchina con le loro qualità e la loro “intensità interpretativa” (Simeone, Raspadori, Olivera, Dombelè, Elmas, Gaetano, Zerbin, etc…) noti ormai a tutti, inoltre lo Zielinsky di oggi non gioca più all’ombra di Fabian Ruiz; il Lobotka di oggi non è più “periferico” nel disegno tattico di Spalletti; Di Lorenzo è un “caso particolare” per continuità; il centrocampo combina forza fisica (Anguissa, Dombelè, Demme) e agilità e tecnica; l’attacco, con Osi i suoi compagni di reparto (Lozano e Politano compresi) è tra i migliori in Europa. Di partita in partita, la progressiva acquisizione di consapevolezza della propria forza, accresceva il senso di sicurezza (autostima), aumentando la probabilità di riuscita dell’evento atteso: la vittoria. E di vittorie ne sono arrivate tante! Come potremmo “spiegarlo”? Volendo forzare un’ipotesi esplicativa razionale, potremmo asserire che “gli effetti speciali” del Napoli siano emersi per la miscelazione ideale di tutte le variabili sopra citate, formando un fenomeno particolare definito dall’eminente psicologo K. Lewin (1951 ), teorico della Gestalt (forma) mediante il concetto di “campo psicologico”, per cui ogni oggetto (materiale e non), ha una sua valenza, positiva o negativa. Queste valenze sono forze psicologiche che ci spingono in una direzione piuttosto che in un’altra. Ci avviciniamo così alle forze positive e tendiamo ad allontanarci da quelle negative. “In qualità di approccio psicologico, la teoria del campo è focalizzata non solo a descrivere i fenomeni osservati ma, soprattutto, ad evidenziare le relazioni di interdipendenza ed i rapporti causali tra i fattori determinanti (oggetti, eventi, persone ecc…), pur non sacrificandone l’analisi delle specifiche caratteristiche peculiari”. Seguendo questa chiave di lettura, il campo si definisce come la totalità dei fatti coesistenti ed osservabili come elementi mutuamente interdipendenti. A partire da tali considerazioni, se in ambito psicologico si intende la persona come un oggetto dinamicamente inserito in un ambiente unico e complesso, risulta necessario tener conto di tutti gli elementi che hanno influenza su di essa”. (1) Questo primato del Napoli è il più roboante botto di fine anno che i napoletani potessero “sentire dentro”…
(1) V. De Blasi, La teoria del campo di Kurt Levin, (2018)
A Cura di Maurizio Santopietro