Questa era Soccavo, questo il centro Paradiso, aneddoti in fila, immagini, flash, ricordi, «romanticherie» come le chiama Raffaele Di Fusco che a Soccavo, al Centro Paradiso, ha vinto lo scudetto della Primavera, i due titoli con Maradona, la Coppa Uefa, la Coppa Italia. Di mattonelle ne conosce, su quella salitina che ha fatto la storia del Napoli e di Napoli.
Partiamo dall’inizio.
«Nel 1975 la sede era a piazza Amedeo, noi con gli allievi ci allenavamo ad Agnano e la società era in via Crispi. Si cominciò a sentir parlare di questo nuovo centro dove entrammo nel 1978»
Impressioni?
«Emozioni. Tante. Per noi la sede non era un luogo dove andare occasionalmente a incontrare il direttore o svolgere adempimenti burocratici. La sede era tutto. Parlavi con i dipendenti, le segretarie, pranzavi, ti riposavi e poi facevi allenamento. La sede era una casa. Per molti nemmeno la seconda, ma la prima».
Il Centro Paradiso cosa significava per le giovanili?
«Tantissimo. L’ingegner Ferlaino ci teneva molto. Come allenatore dei portieri io ho avuto gente del calibro di Sentimenti e Bugatti. Poi Cané, Sormani, Corso e da quella squadra sono arrivati tantissimi protagonisti della serie A».
«Mica il Paradiso è stato solo per i momenti belli. Il primo anno con lui facemmo 9 punti nel girone di andata. E la tensione si avvertiva. Poi negli anni successivi ricordo una panca di legno. Finito l’allenamento tutti seduti lì e nessuno osava andar via. C’era da gustarsi il post allenamento di Diego. E quando c’era la pioggia e il fango si divertiva ancor di più. Noi a crossare e lui a tirare al volo, oppure in porta».
Dal Paradiso siete anche partiti in pullman per Napoli-Fiorentina, partita del primo scudetto.
«E chi dimentica il tunnel azzurro fatto di nastri e striscioni tra balcone e balcone lungo il tragitto».
Centro Paradiso-tifosi. Un altro mondo di sentire il calcio.
«Il Centro Paradiso era aperto agli allenamenti il giovedì con la stessa logica con la quale si aprivano i cancelli del San Paolo venti minuti prima della fine delle partite. A chi non poteva permettersi di acquistare il biglietto per lo stadio doveva essere concesso un modo per star vicino alla squadra. Senza considerare il rapporto che noi avevamo con i club. Spesso osannati, ma anche a metterci la faccia. Al Paradiso nei tempi bui siamo stati anche inseguiti da tifosi con cinghie e catene».
E la capra?
«E chi se la dimentica. Bianchi fece costruire attorno a un campetto una gabbia con tavole di legno alte 1,20 metri per giocare con i rimpalli. Poi divenne un grande orto e un recinto per la capra. Quando i ragazzini scavalcavano per giocare al Paradiso, il custode usciva e con un grido la aizzava contro».
Un sogno per il Paradiso?
«Che diventi centro di allenamento degli Allievi e dove giochi la Primavera. Che torni una sede importante per i giovani».
Fonte: Il Mattino