Spalletti non ha mai sbagliato quando chiamato in causa

La carriera di un allenatore troppo sottovalutato

Solitamente, quando una società chiama Luciano Spalletti è perché serve qualcuno che indichi la via e raddrizzi il destino di una squadra in crisi: ha lasciato la Roma prima e l’Inter poi in Champions, dove ha riportato il Napoli al primo colpo, facendo dimenticare l’amaro quinto posto della passata stagione e senza scomporsi di fronte alle situazioni spinose in rosa (i contratti dei senatori come Mertens, Insigne e Koulibaly). Non si è scomposto nonostante le cessioni estive, non ha mai perso l’entusiasmo, anzi ha abbracciato il progetto di un nuovo Napoli con anima e corpo. Uno Spalletti così non si è mai visto in carriera: i 35 punti dei partenopei superano i 33 della sua Inter e ha dato alla squadra un’identità e un’idea di gioco che prescinde dagli interpreti e non dipende da nessuno (si vince anche senza Osimhen e Kvara). In Champions ha fatto ammattire Liverpool, Ajax e Rangers, si è preso 15 punti su 18 disponibili e ha segnato 20 gol con marcatori diversi. Non si può pronunciare la parola che inizia per “s” e finisce per “o”, ma si può parlare di una bellezza che qui a Napoli non si vedeva da Sarri, anzi forse è anche meglio perché calcio verticale e solidità difensiva si mischiano con quella mancanza di dipendenze sopracitate. Nel suo carattere c’è la propensione alla leadership e lui se la prende e l’asseconda in base alle circostanze: non gli importa se le sue parole possono offendere qualcuno, l’importante è rimanere fedeli a se stessi. Sa come smuovere gli animi delle sue squadre, come ritemprarle dopo un periodo chiaroscurale e Napoli sembra diventata l’occasione della vita di Spalletti che, chissà, potrebbe replicare quanto fatto da Pioli.

Fonte: Corriere dello Sport

 

 

 

 

 

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