Il golpe alla Luciano, ha governato da leader vero la rivoluzione estiva e ora “padroneggia”

In quei due anni da “spettatore” interessato, c’è stato tempo per ripensare a sé stesso, al vissuto, a un calcio senza memoria, sempre capace di andare spigolare nel nulla e spesso incurante d’accomodarsi a leggere le verità: ma le panchine servono pure a dispensare pillole di saggezza e non appena gliene è stata restituita una, al termine del biennio sabbatico, Luciano Spalletti ha scelto di riscrivere la narrazione su di sé, sempre un po’ borderline. Possibile che della vita d’un allenatore capace di rimescolare i trattati di Coverciano, con quel know how (adesso si dice così?) addobbato tra Empoli, Sampdoria, Udinese, Venezia, Ancona, Roma, Zenit e Inter luccicassero (?) soltanto i conflitti con Totti e Icardi, le gestioni complesse di un totem e di un animo ribelle, sistemategli tra le mani come mine a orologeria? Il giorno in cui Aurelio De Laurentiis l’ha trascinato fuori dal Bosco Verticale e, soprattutto, dalla “Rimessa” di Montaione, tanto per gradire gli chiese «piccole cose»: prendersi il Napoli sopraffatto dai costi e dai fallimenti tecnico-economici precedenti, lavorare sapendo che dinnanzi ad offerte interessanti non ci sarebbero stati dubbi sulle cessioni, infine, riconquistare la Champions, necessaria come l’aria.

Fonte: Cds

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