Omicidio del capo ultrà, tifosi e famiglie costretti con la forza a lasciare lo stadio

IN TANTI MINACCIATI E PRESI A SCHIAFFI PERCHÉ NON VOLEVANO ABBANDONARE GLI SPALTI ABODI: «È INACCETTABILE ORA PROVVEDIMENTI»
Doveva essere una serata di calcio per molti tifosi dell’Inter, ma così non è stato. È accaduto sabato sera a San Siro durante la gara dei nerazzurri contro la Sampdoria, vinta 3-0 dalla squadra di Simone Inzaghi. A fine primo tempo la Curva Nord, il settore degli ultrà interisti, si è svuotata in segno di lutto per la morte dello storico capo ultrà interista, Vittorio Boiocchi, ucciso in un agguato a Milano mentre tornava a casa. E sono molte le denunce sui social di chi era presente sugli spalti del Meazza. In tanti hanno parlato delle minacce ricevute e delle maniere forti per spingere i tifosi a lasciare lo stadio. «Quello che è successo è inaccettabile. Sono certo che saranno presi immediati provvedimenti», il tweet di Andrea Abodi, ministro dello Sport.
LE MINACCE SUBITE
«Che qualcuno racconti lo schifo che è successo in curva. Gente sbattuta fuori con urla, calci e pugni perché gli ultras hanno deciso così. Famiglie con bimbi in lacrime e genitori imbarazzati e impauriti. Gente che si è fatta ore e ore di auto o treni, costretta contro la propria volontà a uscire dallo stadio. E le forze dell’ordine, o chi per loro, che dovevano vigilare sono rimaste inermi. Sono tanti anni che seguo l’Inter, ma uno schifo così non l’avevo mai visto. In curva sono state calpestate le libertà più elementari e non è ammissibile», il racconto di un tifoso. Parole piene di amarezza. Purtroppo non sono state le uniche: «Vergognoso quanto accaduto in Curva Nord. Centinaia, migliaia di persone obbligate a uscire da uno stadio per cui avevano pagato un biglietto per rispetto nei confronti di un regolamento di conti tra criminali». O ancora: «Costretti a uscire con le minacce, un padre picchiato con la bambina, gente che ha fatto 600 chilometri costretta a tornare a casa. Una roba vergognosa. Hanno spinto uno che è caduto giù per tre-quattro file». Diversi tifosi, pochi rispetto a quelli che sono poi usciti davvero da San Siro, si sono rifugiati al primo anello verde. Tanto che ha fatto un certo effetto sentire il boato dello stadio sul 3-0 di Correa. Cosa che non è accaduta nei primi due gol interisti. Anzi, quando una parte dello stadio ha fatto partire il coro «chi non salta rossonero è», la Curva Nord non ha mai partecipato. Il club di viale Liberazione sta pensando ad alcune iniziative: non è da escludere un rimborso o un biglietto regalo per le gare successive.
A dire il vero questo è stato soltanto l’ultimo episodio di un calcio sempre più schiavo degli ultrà. Una sorta di terra di nessuno di una parte dello stadio che le società, e in alcuni casi anche le forze dell’ordine, non riescono a controllare. È un problema grave, decennale. Club ricattati dal tifo organizzato.
I PRECEDENTI
Soltanto a gennaio 17 ultrà del Genoa sono stati indagati per estorsione: avrebbero chiesto denaro in cambio di pace sugli spalti. Ma è tutto quello che ruota attorno a questo mondo, dai biglietti, alle bancarelle fuori dagli impianti arrivando ai parcheggi, a preoccupare. Un problema che esiste da tempo e di fronte al quale le contromisure sono apparse finora insufficienti, se non inesistenti. Nel 2019 la Juventus fu ricattata dai suoi ultras: richiesta di centinaia di biglietti gratis o sarebbero partiti i cori razzisti, con sanzioni per la società. Venivano chieste consumazioni free al bar. Fu questo il quadro delineato dall’indagine della Digos della Questura di Torino. Restando all’Inter, indimenticabile quando un motorino volò dal secondo anello verde durante il match contro l’Atalanta. È solo per miracolo il motorino non rimbalzò giù al primo anello pieno di gente ma si fermò sulle transenne. Così, a parte il Booster, nessuno si fece male. E si consumò uno degli atti più folli e grotteschi della storia del tifo in Italia. Tante le versioni che circolarono su quella vicenda, ma le motivazioni non furono mai accertate del tutto. Correva l’anno 2001 e da allora niente è cambiato.
Salvatore Riggio (Il Mattino)
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