Non si trattano così gli idoli del bel tempo che fu, uomini che nel loro piccolo hanno provveduto a far vibrare Napoli: ma questo è il calcio e questo e Kvaratskhelia, che con quella sua faccia da scugnizzo, incurante del passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro, come gli avrebbe cantato Pierangelo Bertoli, avanza a muso duro. Un dribbling a destra, uno a sinistra, l’esterno per lanciare Raspadori, il tocco sotto per aprire il campo a Zielinski, l’interno-collo per lanciare Osimhen: visto che gli è stato proibito segnare, allora si è messo ad inventare. E Napoli-Bologna, tanto per gradire, è diventata egualmente sua, con la celebrazione della Lega di serie A che sui social ha scelto l’assist letterario:
«Ehi, Treccani, avete per caso una definizione per Kvaratskhelia?».
Finirà che si interpellerà l’Accademia della Crusca, ma per il momento si può restare alla grammatica del calcio, ondeggiando tra fonologia, morfologia e sintassi, studiando questo fenomeno a cielo aperto che ha sistemato in un angolino Lavezzi, Cavani, Higuain, Mertens e Insigne, i loro «graffiti» e i «tiraggiro», quelle prodezze e quelle sensazioni, l’empatia d’un decennio preso a dribbling e contro-dribbling in faccia in soli due mesi.
DIECI E LODE. È inutile star qui a chiedersi cosa abbia fatto il calcio internazionale, mentre sonnecchiava, per non accorgersi che in Georgia stava spuntando una star: Kvara s’è preso il Napoli al primo assalto – a Verona, gol e apertura spaziale per Zielinski – poi s’è portato a spasso con quella naturalezza che fa sembrare semplici anche le veroniche più complicate, è andato di doppietta con il Monza, si è ricordato di se stesso con Lazio e con il Torino; e quando ha dovuto accontentarsi ha costruito altro, un castello di favole nel quale lui è il principe azzurro. Dieci milioni di euro per stropicciarsi gli occhi dinnanzi a tutto questo ben di Dio, sette gol (inclusa la Champions, of course), 6 assist, 18 tiri, 25 occasioni create e un vocabolario nel quale perdersi come dentro ad un labirinto, perché in quel talento c’è una varietà – e una proprietà – di linguaggio da restare sbalorditi.
LUI CHI E’? Nella nostalgia di una città che talvolta si lascia andare ai rimpianti, che s’è goduta le diavolerie di Lavezzi, l’atletismo sfrenato ed elegante di Cavani, la classe indiscutibile di Higuain, l’estrosa evoluzione di Mertens, la genialità naif d’Insigne, il ciclone-Kvaratskhelia è divenuto travolgente, ha spazzato via qualsiasi forma di nostalgia, ha persino liberato da quel senso di pessimismo cosmico di una estate arroventata dagli addii di quei monumenti viventi, i leader dell’ultimo decennio, e ha allestito un teatro per il futuro. Kvara è l’inno della speranza, uno schiaffo alla diffidenza, un tunnel ai pregiudizi, un fenomeno che stordisce e rapisce, un artista post-moderno che si staglia in quest’orizzonte, nell’infinito in cui a Napoli è concesso di lasciarsi andare (ma con giudizio).
LA STAR. Kvara ha ribaltato la dimensione malinconica di Napoli e l’ha trasformata in gioia, ha stravolto il clima e l’atmosfera, è divenuto la speranza a ritmo frenetico in qualsiasi giocata, pure la più anonima che diviene genialità. Kvara il bagliore dopo le notti buie di un trimestre in cui Napoli non è riuscita neanche a gustarsi la qualificazione in Champions League, sconsolata com’era per la fine d’un ciclo. Mentre nell’ombra stava nascendo Kvarastella, o più semplicemente l’ultimo uomo dei sogni.
A. Giordano (Cds)