Masaniello perché in quest’autunno dolce e tenerissimo, in cui tutto sa di Napoli, la Champions è la vetrina d’una rivoluzione ideologica che gli appartiene per intero. Quando Luciano Spalletti si è ritrovato tra le mani quella squadra stravolta dal mercato, ormai senza leader e bandiere, intorno a sé avrà avvertito il venticello gelido della diffidenza: e in quel momento, tra Dimaro e Castel di Sangro, in due laboratori a cielo aperto, stava per nascere un capolavoro che sbriciola. I numeri non mentono, pur rappresentando a volte dettagli, ma stavolta dentro le statistiche c’è la sintesi d’un prodigio: primo in Italia e in Europa, nove vittorie consecutive, 39 reti segnate, 17 in Europa, dieci in otto giorni all’Ajax, la frontiera del calcio totale che ora sa di Napoli, sa di Spalletti.
Viverla con distacco non è facile... «Semplicemente perché si viene coinvolti da una folla del genere, da questa gente. Le urla dello stadio mi facevano girare la testa».
Ha conquistato Napoli. «Io sono semplicemente il primo allenatore che guida una squadra capace di fare una cosa immensa: portare in campo, in questa qualificazione, l’orgoglio di un popolo intero».
Dando spettacolo... «C’è la voglia dei nostri tifosi, la loro determinazione di voler stare in Champions: e tutto ciò è stato trasferito in campo ai nostri calciatori. Una fusione perfetta».
Il Napoli che va persino oltre gli schemi. «Perché gli schemi nel calcio non ci sono più, è fondamentale saper riconoscere gli spazi, andarci dentro, avere il coraggio di cominciare sempre l’azione».
Unico neo, l’uscita di Anguissa. «E la Champions ha fatto vedere che in quella distrazione – quando volevamo sostituire Zambo – l’Ajax ci ha subito creato difficoltà».
Le prime sensazioni sull’infortunio? «Ha sentito tirare il muscolo e quindi va valutato con calma».
Giocate su ritmi incontrollabili. «Se li abbassi e non sei continuo nell’andarli a rilanciare, l’Ajax con il suo palleggio e la sua qualità ti arriva subito davanti al portiere. Il Napoli ci ha messo la garra giusta per riuscire a conquistare una qualificazione del genere, non è stata una partita solo a portarci agli ottavi».
Kvara a tutto campo è una dimostrazione ulteriore sul suo esagerato talento. «Devo elogiare lui e anche Lozano, sono indicazioni importanti quelle che ci hanno dato. Generosità e sacrificio sono determinanti in partita».
Ha ritrovato Osimhen, il suo top player. «Non sapevamo bene a che punto era, che grado di condizione avesse raggiunto: ha fatto pochi allenamenti, perciò per noi era un po’ un’incognita».
E un po’ l’ha fatta anche arrabbiare. «E’ un capoccione, vuole sempre ciucciare il metro, non ha lavorato per la squadra in fase difensiva perché forse non sta ancora bene. Quando abbiamo perso Anguissa, dovevo alzare la squadra in centimetri, mi serviva un uomo che con i colpi di testa ci consentisse di ripartire da metà campo».
Il sacrificato, si fa per dire, è stato Simeone. «Che avrebbe meritato di giocare. E mi spiace non sia stato possibile. Ma dovevo scegliere e per sistemare la partita su binari che ritenevo corretti ho preferito puntare su Osi. Simeone ci tornerà utile, eccome, altre volte».
Lei fa il modesto, ma la partita è stata sempre del Napoli. «Loro giocavano bene, da qui la scelta. Con Osi abbiamo perso qualcosa nel palleggio, andava meglio con Raspadori. Victor con più gamba ci darà altro».
Schreuder si è sbilanciato con i complimenti. «Ci fa piacere, perché sono gratificazioni che arrivano dal tecnico di un club di altissimo profilo, che sa scegliere i giovani e li fa diventare adulti e campioni. Se sei in quel meccanismo, devi conoscere il calcio».
Fonte: CdS