Spalletti e il Napoli per la storia: cerca il primo successo in Italia

Primo in serie A (con Gasperini, altro maestro del calcio italiano) e primo nel girone di Champions League, Spalletti ha avviato a Napoli una nuova fase della sua carriera, che può diventare la più esaltante. È riuscito ad andare con il lavoro e i risultati oltre gli stereotipi e le narrazioni che erano diventate fiction.

Come, e soprattutto, il suo rapporto con Totti. O quello con Icardi. I risultati – dati ovviamente parziali, in questa stagione giocate soltanto 9 partite – sono i migliori: una percentuale di vittorie del 61,82 per cento il tecnico non l’aveva fatta mai registrare, sulla panchina azzurra ha vinto finora 34 partite su 55.

Luciano Spalletti non è quello che Ricky Tognazzi interpreta nella serie tv Speravo de mori’ prima, dove sfida il Core de Roma nel Colosseo virtuale della piazza romanista. Tra dare spazio a un quarantenne straordinario ma quarantenne e centrare attraverso precise scelte l’obiettivo Champions con la Roma non ebbe dubbi nella scelta. È accaduto, con tratti molto meno accentuati, anche a Napoli, dove il trentacinquenne Mertens Core e Napule ha trovato spazio soltanto nel finale della scorsa stagione e poi non ha rinnovato perché era partito da una base di 4 milioni netti. In quella vicenda contrattuale Spalletti ha deciso di non entrare perché consapevole dei paletti che De Laurentiis avrebbe fissato per questo campionato e così è stato anche per Insigne e Koulibaly: avrebbe mai potuto incatenarsi, come promise un anno fa in caso di cessione di Kalidou, di fronte ai 40 milioni per un quasi svincolato?

Luciano a Napoli non ha dovuto indossare la tuta del duro e al primo anno ha centrato la qualificazione Champions. Si è amareggiato di fronte a un venticello di contestazione dopo la sconfitta ad Empoli. Non lo ha compreso e lo ribadisce ancora adesso. Con una squadra che aveva giocatori a fine ciclo – gli stessi che avevano fallito per un punto l’obiettivo Europa un anno prima – non si poteva fare di più. La seconda parte della ricostruzione è cominciata nel modo migliore, a cominciare dalle scelte di mercato studiate dal ds Giuntoli e da Spalletti e finalizzate da De Laurentiis. In assoluta armonia, giocando d’anticipo e con tenacia in trattative come quelle per Kvaratskhelia e Raspadori. C’era – e c’è – bisogno di tempo per perfezionare i meccanismi in campo e rendere più forte l’anima del Napoli. Ecco perché Spalletti ha tolto dal suo vocabolario la parola scudetto. C’è, piuttosto, l’altra – Champions – e su questa lui si sente assolutamente di scommettere, forte di una rosa competitiva. La sua squadra ha vinto tre partite senza Osimhen, il migliore attaccante, anche con i gol di Raspadori e Simeone, i sostituti di Victor: qualcosa vuol dire. Questi ragazzi hanno qualità, entusiasmo e orgoglio. Ne ha Meret, che a luglio Spalletti aveva messo in ballottaggio con un Mister X e che fino alle ultime ore del mercato aveva avuto su di sé l’ombra di Navas. È andato tra i pali e la gerarchia è chiara: dei due portieri vice di Donnarumma nella Nazionale campione d’Europa Meret è il titolare e Sirigu la riserva. Alle sollecitazioni di un allenatore si risponde così.

Quella parola, scudetto, Spalletti vorrebbe urlarla allo stadio Maradona e negli spogliatoi di Castel Volturno per caricare i suoi uomini, quella bellissima banda che ha travolto i vice campioni d’Europa del Liverpool e battuto i campioni d’Italia del Milan al Meazza. Lui, uno scudetto, lo insegue in Italia da 17 anni, quando la famiglia Sensi gli affidò la Roma. Ne ha vinti in Russia con lo Zenit San Pietroburgo. E gli piacerebbe centrare l’obiettivo a Napoli, non perché sarebbe una carta da giocare nell’eventuale sede per il rinnovo. Il suo contratto scade il 30 giugno 2023 ma, come disse prima dell’esordio stagionale a Verona, «non me ne importa niente: alla mia età è giusto fare il contratto di un anno e poi a fine stagione tirare le somme, se avrò l’occasione di continuare ad allenare farò sempre contratti di un anno». Quelli a lungo termine di Allegri e Inzaghi, ad esempio, sono diventati zavorre per Juve e Inter, rispettivamente a 7 e 5 punti dal Napoli. Se esiste un pregiudizio nei suoi confronti, Spalletti lo sta smontando. Chissà se gli è capitato di rileggere quanto Sacchi scrisse di lui sulla Gazzetta dello Sport alla vigilia di Napoli-Liverpool: «Spalletti è bravo ma spesso non finisce le cose. Le cose vanno fatte bene e devono essere complete». Magari con Arrigo si risentiranno a fine campionato.

A cura di F. De Luca (Il Mattino)

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