Cosa hanno in comune i due club? «Hanno avuto storicamente una gestione più o meno simile. Il vivaio dell’Atalanta è stato un fiore all’occhiello, uno dei primi in assoluto a livello nazionale. Quando ero giù, quello azzurro non era da meno, sono stati vinti scudetti in ogni categoria. E ricordatevi che nell’anno del primo tricolore, con me in panchina, i napoletani in prima squadra erano tanti, tutti provenienti dal settore giovanile. In tempi più recenti, si è attinto meno dai vivai e si è preferito andare sul mercato alla ricerca di giovani talenti, sperando che poi questi esplodano durante la crescita».
Diciamo che le società sono state costrette ad adeguarsi. «Esatto, si sta facendo di necessità virtù. Teniamo sempre a mente che paghiamo dazio in Europa e che il nostro campionato è meno competitivo di altri. Se non ti chiami Juventus o Milan e se non ti puoi permettere campioni affermati e che costano un botto, allora non hai alternative. Mi pare che nel caso di Atalanta e Napoli la politica di affidarsi molto ai talent-scout competenti stia dando ottimi risultati. Senza parlare dei conto a posto: stiamo parlando di due società molto virtuose, tra le poche in Italia».
Le città, l’ambiente, le tifoserie: si somigliano? «Hanno un aspetto in comune, ed è quello che voi chiamate tifo. Per me è passione, senso di appartenenza. A Napoli c’è un attaccamento incredibile, quasi morboso, verso la squadra ed è una sensazione bellissima per chi ha la fortuna di vivere da dentro queste sensazioni. Vi assicuro che Bergamo, pur con le dovute proporzioni, riserva lo stesso trattamento ai nerazzurri: ci sono ragazzini che si legano alla maglia nerazzurra da piccoli e non la lasciano più».
L’ambiente è un punto forte nelle discussioni di don Ottavio. Di quello napoletano ha sempre saputo sottolineare pregi e difetti. «Conosco città, squadra, tifosi e tutto ciò che le circonda. Ma ho notato anche un enorme cambiamento negli ultimi anni: la piazza è maturata tantissimo. Le aspettative ci sono sempre, ed è giusto che sia così, ma vengono metabolizzate meglio, nel bene e nel male. È importante che la squadra sia circondata da pressioni giuste e mai eccessive».
Il resto, appunto, dovrà farlo la squadra. «Guarda, se mi avessi chiesto un pronostico quest’anno ti avrei detto Napoli a occhi chiusi. Ha un bel gruppo, diverte quando gioca, è ben guidato, ha alle spalle una società sana e una concorrenza che non è impossibile da superare. Ma c’è l’incognita della lunga pausa per i mondiali che mi fa rimandare il giudizio, sarà un bel rebus per tutti. Quindi, sull’argomento scudetto, risentiamoci a gennaio».
Fabio Cannavaro è stato un suo pupillo. Lo fece debuttare ragazzino con il Napoli in casa della Juventus (marzo 93, finì 4-3 per i bianconeri), oggi per la prima volta inizia ad allenare in Italia. «Ho perso un po’ il conto dei calciatori che ho allenato e che poi sono diventati allenatori, alcuni anche di un certo livello. È vero, Fabio l’ho fatto debuttare io perché una delle mie caratteristiche è stata quella di lanciare molti giovani. Non posso dare giudizi sulle sue capacità tecniche perché non ho mai avuto l’occasione di vedere quali sono i metodi di lavoro, e quali le idee che trasmette al proprio gruppo. Il mio è soltanto un messaggio di affetto e niente più, gli auguro di replicare in panchina i tanti successi che ha raggiunto in campo».
Veramente non vede più partite del nostro campionato? «Sì. Ho visto solo Milan-Napoli e mi è piaciuta».
Fonte Il Mattino