È tornato a Napoli per l’abbraccio a tanti vecchi amici e l’omaggio al suo Capitano. «Andrò al murale di Diego ai Quartieri spagnoli. Ma io come tutti i napoletani lo porto qui», dice Careca indicando il cuore. Sulla terrazza del Renaissance Naples Hotel Mediterraneo c’è uno dei suoi amici più cari, Antonio Rocco. Si conobbero nella sede del Calcio Napoli. «Sono andato via quasi trent’anni fa ma l’affetto dei napoletani è rimasto lo stesso: devo girare per strada con mascherina e occhiali scuri…». Oggi è il giorno dell’omaggio a Diego, della preghiera davanti al murale in via Emanuele de Deo, e di Milan-Napoli. «Il Milan, dopo che vincemmo nell’89 la Coppa Uefa, avrebbe voluto prendermi, sai?».
Come andò? «Berlusconi, grandissimo presidente, fece chiamare il mio agente Branchini. Il contratto col Napoli stava per scadere, ne parlai con la mia famiglia e Maradona. E Diego disse: Dai, Antonio, restiamo a Napoli ancora quattro anni e poi ce ne andiamo a giocare insieme in una squadra argentina o brasiliana. Lui finì nel 91, io andai via nel 93. Il Milan era il Milan, ma non avrei mai tradito l’amore dei napoletani. Sono stato fedele alle mie squadre: ne ho avute quattro in vent’anni da professionista».
È andato via da Napoli quasi trent’anni fa, eppure appena i tifosi vedono Careca è un’esplosione d’affetto, dall’evento del Premio Malafemmena agli incontri nei club: come lo spiega? «Perché abbiamo vinto. E soprattutto perché abbiamo fatto conoscere Napoli nel mondo anche per il calcio, non soltanto per la sua cultura e il suo fascino. Quello era il campionato più bello e più difficile, c’erano davvero i più grandi, dai brasiliani agli olandesi».
Gli olandesi, cioè il Milan di Sacchi. Sa che lui, dopo 32 anni, considera ancora un furto quello scudetto vinto dal Napoli nel 90? «Arrigo davvero dice questo? La democrazia è bella perché ognuno esprime un’opinione. Quella moneta a Bergamo colpì Alemao, non fu finzione. E Ricardo, uno dei più forti della squadra, uscì dal campo. La verità è che nel finale di campionato il Milan mollò mentre il Napoli cresceva. Loro non ci credevano più e noi trionfammo a Bologna».
Al Meazza stasera è in gioco un pezzo di scudetto? «Il campionato è lungo, tuttavia questa è una grande chance per il Napoli. Gioca in casa dei campioni d’Italia, se fa risultato dà un segnale forte. Li ho visti, gli azzurri, in Champions. Prova di tecnica e personalità contro Liverpool e Rangers. In città c’è tanto entusiasmo da parte dei tifosi, ne sono felice: meritiamo di vivere un momento così».
È rimasto tifoso del Napoli. «Grandissimo tifoso. E sto trasmettendo questa passione ai miei nipoti. David Luca è il più grande, gioca da attaccante nella giovanile del Guarani. Poi ci sono Matheus e Antonio. Non hanno mai visto Napoli, voglio portarli presto qui. È bella la passione dei tifosi, però negli ultimi anni c’è stato qualcosa che non ha funzionato nella squadra. Grande avvio di stagione, poi a metà campionato un rallentamento. Mi auguro che stavolta sia diverso e che possano giocarsela fino in fondo in campionato e in Champions. Che orgoglio vedere quei ragazzi in testa al girone di Coppa. E hanno fatto più gol di tutti in serie A e in Europa. Il vero duello è quello contro il Milan».
Perché? «Inter e Juve al momento non hanno il passo del Napoli e del Milan, che è riuscito a mantenersi ad alti livelli grazie al lavoro di Paolo Maldini: un uomo di calcio sa cosa serve per rendere forte una squadra. Sul Napoli, dico la verità, ero rimasto perplesso quando ho visto partire Mertens, Insigne e Koulibaly. Poi ho notato la qualità e l’entusiasmo di questi ragazzi. Kvaratskhelia, a 21 anni, ha una personalità impressionante. Kim gioca con assoluta padronanza. Raspadori ha velocità e grandi numeri. Centrocampisti come Anguissa e Ndombele hanno margini di crescita. Meret ha recuperato tranquillità adesso che non c’è più il confronto con Ospina. Peccato sia fuori Osimhen, che non ha potuto far vedere fino in fondo quanto vale per i suoi problemi fisici. In questo Napoli non c’è il fuoriclasse ma una forte mentalità di squadra, con un gruppo che viene stimolato da un tecnico esigente come Spalletti. E questa forza del gruppo può fare la differenza anche sul campo del Milan. Sarebbe importante acquisire già un vantaggio sui campioni. E io so bene quanto sia difficile vincere qui uno scudetto».
Quanto difficile? «Uno scudetto a Napoli ne vale sei altrove. Non conosco la forza economica dell’attuale società, ai miei tempi Ferlaino lottò per riuscire a costruire una grande squadra prendendo prima Diego, poi me, Alemao e altri. E poi c’è il discorso degli arbitri: era dura avere un rigore…».
A pochi passi dal suo albergo c’è il murale di Diego, diventato meta di pellegrinaggio.
«Ci andrò, l’ho promesso a me stesso. Penso sempre a lui, al mio amico, al capitano di quella grandissima squadra. Potevo andare al Real Madrid nell’87 e invece spinsi per il Napoli perché volevo giocare con lui. Ci siamo divertiti, abbiamo vinto. Anzi, di più: siamo stati quelli che hanno scritto la storia. Andrò a Buenos Aires a fine ottobre, prima del giorno del suo compleanno, il 30: voglio rendere omaggio a Diego e abbracciare sua moglie Claudia».
E poco dopo comincerà il Mondiale.
«Il più strano, perché per la prima volta non si giocherà in estate, alla fine dei campionati. Si vedranno nazionali più toniche, con giocatori che non hanno sulle spalle il peso della fatica di un’intera stagione. Il Brasile può farcela ma dipenderà dall’estro di Neymar, come sempre. Il commissario tecnico Tite non ha voluto rinnovare la Seleçao ma la gratitudine verso i giocatori più anziani non sempre paga. Forse è accaduto qualcosa di simile all’Italia dopo l’Europeo. Gli allenatori devono decidersi, una volta per tutte, a puntare sui giovani, a farli crescere e ad aiutarli a diventare campioni».
Fonte: F. De Luca (Il Mattino)