Massimo Mauro l’ex di Juve e Napoli, voce scomoda della tv, spiega come si migliora il protocollo per salvare il nostro calcio. «Chi sta davanti al video intervenga solo se l’errore è oggettivo. Aiuti alla Juve? Ha vinto scudetti anche dopo l’introduzione della tecnologia. Spero che Milan-Napoli non sia rovinata da chiamate esterne»
«Spalletti è forte e intelligente il suo Napoli è meraviglioso Il Milan rende eccellenti anche i meno buoni»
«Allegri deve darsi una mossa, serve il suo tocco magico Vlahovic non sa cosa sia il controllo di palla, Milik crea da sé le occasioni»
« Mi hai chiamato perché ho spaccato?!»
La sua non è una domanda, è un’affermazione. Massimo Mauro, 60 anni, una bella carriera da calciatore, Catanzaro, Udinese, Juventus, Napoli, un po’ di politica, l’impegno in prima persona nel sostegno economico alla ricerca sulla Sla («da quindici anni ormai, insieme a Vialli e attraverso la nostra fondazione»), un tentativo dimenticabile da dirigente sportivo e tanta televisione fatta bene. Talmente bene che per un po’ l’hanno segato, escluso. Massimo ha la capacità di stare e giocare insieme. Il suo punto di forza è la libertà di pensiero, il ritmo è vivace, non mancano trovate, affondi e spunti polemici. Non arretra mai: ostinato come un calabrese. A volte è molto juventino. Altre, pure. Se non lo conosci risulta antipaticissimo. «Al contrario, sono simpaticissimo» chiarisce «e chi mi frequenta lo sa. A proposito, invito chi posta messaggi sul mio profilo Instagram a evitare di farlo, tanto i negativi quanto i positivi io non li leggo proprio. Tutta fatica sprecata, tempo sottratto agli affetti».
Hai spaccato? Ma spaccato cosa, Massimo? Un’idea ce l’avrei…«In tv, lunedì, ho spaccato perché ho detto la verità».
La tua verità. «Zazza, il popolo anti-juventino ha sempre pensato, a torto o a ragione, non sta a me stabilirlo, che la Juventus vincesse perché aiutata dagli arbitri. Roma, Napoli, Firenze, Bologna, Milano su entrambe le sponde. L’introduzione del Var è stata voluta e accolta come la soluzione di tutti i mali e le malefatte bianconere, come un supremo atto di giustizia».
A Pressing hai detto un’altra cosa, Massimo: «il Var è stato introdotto per punire la Juventus», le tue parole. Io c’ero e non dormivo.
«Questo è ciò che ha fatto comodo comprendere tanto a te quanto al web, lo capisco e non mi scandalizzo affatto. Ma il senso del mio discorso era più ampio e articolato. Infatti…»
Infatti cosa?«Infatti dopo l’introduzione del Var la Juve ha vinto quattro scudetti di fila».
Tre, non quattro. Ma cambia poco. «Lo scudetto lo vince sempre la più forte, se la Juve ha perso gli ultimi due è soltanto perché è peggiorata notevolmente».
Dunque Calciopoli per te è stata una buffonata? «Non mi ci far tornare, non avrebbe senso, guardiamo avanti. Io credo che sia giunto il momento, pur se in notevole ritardo, di adeguare il protocollo Var per rendere utile, e non dannoso come lo è oggi, l’aiuto tecnologico».
Procedi con il protocollo Mauro. Sono tutto orecchi. «Non scherzavo quando dicevo che l’arbitro che prende una decisione importante all’ultimo minuto ha le pulsazioni a 180. E con le pulsazioni a 180 non si ragiona bene».
Marcenaro le avrà avute anche a 200 eppure non ha sbagliato, ha visto bene. Così come il guardalinee. «Solo che poi arriva il coglione che sta seduto davanti a un video, coglione in generale, non mi riferisco a quello di Juve-Salernitana – non so nemmeno chi fosse – che segnala all’arbitro un fuorigioco inesistente, il gol viene annullato, il risultato falsato e va a finire che fanno tutti la figura dei cretini. Quello che è successo allo Stadium domenica scorsa ha affossato il Var».
Si è trattato di un caso eccezionale, Massimo: chi era al Var ha modificato, sbagliando, una decisione corretta dell’arbitro. «Il Var deve intervenire soltanto in caso di oggettività: la valutazione dell’arbitro presente a pochi metri dall’azione e che prende la decisione per lui più corretta, deve essere insindacabile. Ti faccio l’esempio di Orsato a Bologna: la sua scelta potrà anche essere opinabile, ma deve essere rispettata. Il dirigente che dopo la partita si presenta davanti alle telecamere e spara contro il direttore di gara ci sarà sempre, non lo potrà evitare nessuno, nemmeno Gesù Cristo. Se Nostro Signore arbitrasse una partita in Italia verrebbe comunque contestato, questo siamo da sempre, al di là dell’imbarbarimento degli ultimi anni. Qualcuno mi deve spiegare perché un soggetto davanti al video può permettersi di rompere i coglioni a chi sta in campo quando un episodio non presenta i caratteri dell’oggettività. Il fuorigioco di mezzo metro, il fallo da rosso non visto, e può succedere, in casi come questi si può intervenire da un locale asettico della Brianza».
E lo step on foot, la pestatina? «Per carità, un abominio. L’arbitro va aiutato, la sua figura difesa, tutelata. Lo strumento tecnologico deve essergli amico, non nemico. Amico soprattutto del calcio. Siamo nella giungla. Ricordi quando dicevate che il Var avrebbe ridotto proteste e risse in campo? L’altra sera a Torino c’erano 47 persone in campo…».
Per risolvere la questione del Var hai indicato una strada più o meno condivisibile. E per la crisi della Juve? «Allegri deve darsi una mossa, come fece l’anno in cui si ritrovò nella parte destra della classifica e infilò 15 vittorie consecutive. Alla decima giornata era dodicesimo, alla venticinquesima primo. Serve il tocco magico».
Solo? Tutto qui? Aveva altri giocatori, il livello era sensibilmente superiore. «Quando hai sette italiani, tutti nazionali, in squadra la soluzione dei problemi è sempre meno complicata da individuare. Se invece vai a prendere degli stranieri a fine carriera rischi dispersioni di energia e rallentamenti dannosissimi. È vero che l’Inter del triplete era piena di stranieri, ma lo è altrettanto che la storia della Juve è prevalentemente italiana. L’altra sera il 2-1 con il Benfica poteva essere un 5-1 e i due gol in casa dalla Salernitana non sono roba da Juve. Se Paredes lascia andar via il centrocampista avversario o perde un tackle idiota quando dovrebbe giocare semplice, la colpa non è dell’allenatore. Che peraltro non ha mai avuto i tre calciatori più importanti. Chiesa non so cosa cazzo abbia, l’infortunio di Pogba è stato gestito malissimo e Di Maria ha giocato in pratica una sola partita. Quando la squadra vince attribuisco il 30% del merito all’allenatore, ma quando perde non può essere ritenuto il primo responsabile. Se il centravanti non tira in porta nemmeno una volta la colpa non è del pallone che non arriva, del gioco o dei compagni, la colpa è del centravanti».
Hai dichiarato che Vlahovic non sa cosa sia il controllo della palla. Settanta milioni spesi male? «Se non ti arriva il pallone mettiti nella condizione di riceverlo. L’ho detto e lo confermo: Vlahovic il controllo della palla non sa cosa sia, se tu la controlli male e non la tieni è un casino e finisci per mettere in difficoltà l’intera squadra. Lui aspetta che il difensore gliela prenda. Milik, invece, ha idea di come si giochi a calcio, crea due o tre occasioni da gol anche in situazioni complicate. Il mestiere del centravanti prevede l’iniziativa individuale. Ad ogni modo Vlahovic ha soltanto ventidue anni e a gennaio Allegri fu costretto a metterlo dentro subito, invece di gestirlo con i tempi giusti».
Cosa o chi ti è piaciuto in questo primo mese? «Il Napoli è meraviglioso, lo era anche l’anno scorso. Spalletti è forte e intelligente, non si deve innervosire quando gli ricordano che ha perso lo scudetto con Spezia e Empoli in casa. Il Napoli arriva al risultato attraverso il bel gioco, ma ci sono partite in cui è sufficiente prendere i tre punti senza cercare lo spettacolo, come contro lo Spezia ad esempio. I successi accrescono l’autostima e fanno lavorare con maggiore convinzione, meno pressioni, la testa libera. Il Milan è un altro degli aspetti positivi, ha un gioco che rende eccellenti anche i meno buoni e poi è il risultato di un progetto che gli ha consentito di cambiare poco. Ha aggiunto 2 o 3 giocatori a un impianto che funziona capace di portare a casa uno scudetto sorprendente. Come accadeva alla Juve di un tempo. Mi auguro che lo scontro diretto non venga rovinato da interventi esterni».
E Massimo Mauro di cosa è il prodotto? Quali, le figure del calcio alle quali devi di più.
«Di incontri, esperienze, radici, errori, cose fatte bene. Come tutti, del resto. A chi devo qualcosa nel calcio? Al Claudio Ranieri di Catanzaro, il mio primo capitano, io ero appena un ragazzino, e poi a Causio e Zico a Udine, dai miei 18 ai 22 anni. Mi hanno aiutato nella formazione del professionista e dell’uomo. Poi, certo, Scirea, Cabrini, tanti grandi giocatori».
Fonte: CdS