Maurizio Santopietro (Psicologo) la pensa così:
Alcune settimane fa aleggiava, nei confronti del Napoli, il pessimismo cosmico leopardiano, a
sua volta amplificato dai mass media sportivi, e da molte rubriche radio-televisive. L’innesco di questa
“depressione calcistica” sarebbe stato innescato dall’annuncio della riduzione del monte ingaggi dato
alla fine del campionato, invero fomentato dalla ritardata campagna di rafforzamento e, inoltre,
ingigantito dalle uscite dei giocatori più rappresentativi. Risultava matematicamente impossibile
conciliare la qualità tecnica con la riduzione degli ingaggi e con lo svecchiamento della rosa. Giuntoli (e
l’antipatico, presuntuoso ADL) avrebbero compiuto siffatto “miracolo”, ma ha pregiudizi questo può
non bastare. Ma son state sufficienti due roboanti vittorie con squadre tecnicamente molto inferiori per
mutare lo sconforto totale in uno stato di euforia generale. Certamente, le vittorie non sono mai
scontate, visto che nello scorso campionato il Napoli ha (dis)perso – nei doppi incontri –
scelleratamente nove punti con Empoli e La Spezia, visto che la Roma ha vinto le prime due partite
solo uno a zero con squadre dello medesimo livello tecnico incontrate dal Napoli e che l’Inter ha vinto
nell’extra time contro il Lecce e che la Juve è andata vicina alla sconfitta con la Samp.
A fronte degli ultimi tre acquisti, e delle spettacolari prestazione di Kavra & Co senza gli ultimi
arrivati, il mutamento d’opinione dei tifosi può essere, in gran parte, giustificato, ma ci rimane più
difficile “spiegare” l’entità del cambiamento della stampa specializzata, che ubicava il Napoli lontano sia
dal quarto posto che dalla qualificazione alla Europe League. La squadra che ha giocato, infatti, è quella
dello scorso anno, ad esclusione del ”77” e del sud coreano: è vero che Kvara ha sorpreso tutti per le
giocate da fuoriclasse, ma non era così per Kim, rispetto al monumentale Koulibaly. Il punto è che se i
tifosi fondano comprensibilmente il giudizio sugli aspetti passionali, esacerbando l’impatto emotivo,
non dovrebbe essere così per gli addetti ai lavori, pur al netto della ricerca del “sensazionalismo” ossia, i
giornalisti non dovrebbero ricorrere ai processi di valutazione basati su fattori “visceral-umorali”, tipici
del popolo social, oltre che dei tifosi più accaniti L’elemento che lega i due processi di “costruzione
della realtà”, in questo specifico caso, è il tempo di latenza della risposta con cui si giudica ovvero,
l’eccesso di fretta con cui si valuta, venendo a mancare il necessario approfondimento dell’argomento
da valutare e la relativa attendibilità con cui si formula il parere stesso. In questi ultimi decenni il
“giudizio compulsivo” è stato esasperato dai social network, a cui vanno dietro coloro che usano le
tecnologie della comunicazione bypassando lo spazio riflessivo, propedeutico alla formulazione di un
giudizio affidabile e attendibile. L’inflazione di questa insana modalità comunicativa è il riflesso di un
equivoco di fondo: il diritto a esprimere pareri, che viene assimilato al grado di competenza. Per
intenderci, se il classico “leone da tastiera” esterna opinioni, cosa di cui ne esige il diritto (nel rispetto
degli altri), ciò non vuol dire che il suo diritto sia automaticamente equivalente al parere formulato da
una persona dotata di un background culturale molto più approfondito, rispetto a quello specifico
argomento, ad esempio”.