Il comportamento agonistico degli arbitri di calcio di serie “A”

Una prima verifica della “sudditanza psicologica”. Alcune ipotesi esplicative

La presente ricerca non intende sottolineare gli errori degli arbitri in termini di critica, vuole porre in evidenza se esiste una “direzione” sistematica degli errori quando gli arbitri dirigono le squadre definite “Grandi”e “Piccole”. Inoltre vuole fornire una spiegazione scientifica circa la condotta arbitrale, tenendo presente che ogni atto percettivo è un processo di trasformazione-distorsione (trasduzione) dello stimolo, costituito da elementi interni non consapevoli, che intervengono nella fase valutativa, infatti, la rappresentazione della realtà esterna non è di tipo isomorfico (corrispondenza esatta tra la realtà esterna e la sua rappresentazione corticale), ma è fisiologico dunque un certo grado di distorsione percettiva, totalmente inconsapevole (Taylor, 1991). L’attività dell’arbitro è dunque un esempio di processo di costruzione della realtà (Olivetti-Belardinelli, 1978), onde rafforzare tale ipotesi, si consideri che solo di recente si è scoperto, in termini fenomenologici, della reale asimmetria delle due metà del corpo, “aggiustata” (Ruggieri, 1997) dalla percezione per il principio psicologico della “gestalt della forma”. La premessa è che i assolutamente normale una certa quota di errori percettivi compiuti dagli arbitri. Partendo da un diverso punto di vista, e cioè dell’immaginario collettivo della figura arbitrale, rileviamo come esso sia legato, entro una certa misura, alla percezione “viscerale e popolare” del calcio, che potremo concepire come una sorta di trasformazione simbolica degli arcaici impulsi sadico-aggressivi dei frequenti giochi dell’antica arena (Lutte, 1987) quindi, in tale contesto, l’arbitro diventa uno “schermo” su cui sono proiettati, mediante meccanismi psicologici di spostamento, sia elementi di tensione aggressiva, (espressi mediante derisione, svalutazione, offese manifeste, ecc…), sia il contenuto emotivo generale degli spettatori. Attualmente, nella sua recente ridefinizione commerciale in spettacolo da intrattenimento, e vista la partecipazione finanziaria degli sponsor (con la trasformazione della ragione sociale in Spa), le questioni di politica economica diventano prioritarie al principio agonistico-sportivo e, ancora, considerando le amplificazioni dei mass media (quotidiani specialistici, programmi televisivi, ecc…), il ruolo dell’arbitro diventa delicatissimo per le conseguenze” che può determinare nell’andamento economico e sportivo delle società: Scudetto, Champions Legue, qualificazione UEFA, Retrocessione, ecc.

Tutto ciò espone l’arbitro a tensioni emotive non tutte coscientemente percepite, nonché ad alti livelli di attenzione-allarme che elevano il grado di difficoltà della prestazione agonistica, infatti, gli addetti ai lavori (stampa specializzata e organi competenti) ritengono necessaria la professionalizzazione della figura arbitrale. La prestazione del direttore di gara, come una qualsiasi condotta comportamentale, richiede una spiegazione plausibile proprio per il bisogno innato di dare senso alla realtà esterna (Gazzaniga, 1989; Olivetti‑Belardinelli, 1983; Taylor, 1991). Spesso le teorie esplicative addotte dalla gente comune si basano più su un fondamento reattivo‑emozionale che non su presupposti oggettivamente rilevabili, oppure fanno ricorso a luoghi comuni o a pregiudizi, spiegazioni queste intese a ipersemplificare l’interpretazione della realtà. E’ per tale ragione che queste risposte sono socialmente condivise in modo acritico, tanto che da siffatto humus deriva il volgare slogan di lunga generazione: “arbitro venduto”.

Negli ultimi anni la teoria più diffusa per spiegare gli errori arbitrali, forse anche tra la stampa specializzata, è individuabile nella formulazione dell’ipotesi della sudditanza psicologica, cioè dell’influenza (inconsapevole) esercitata dai cosiddetti “Grandi Club” sul comportamento arbitrale del direttore di gara, senza la necessità di intraprendere oggettivi atti di corruzione. L’effetto della sudditanza psicologica favorirebbe le “Grandi squadre” a danno di quelle “Piccole”. La presente tesi però non è stata mai suffragata con metodi scientifici, quindi questo facilita l’assunzione di atteggiamenti di sospetto, nel caso di errore arbitrale a danno della squadra politicamente meno potente. Il presupposto su cui poggia il progetto di ricerca è proprio quello di offrire la possibilità di verificare sperimentalmente se la tendenza degli errori arbitrali è sistematica o casuale. Il problema oggi sembra ingrandito dal fatto che alcuni presidenti di squadre usufruiscono anche di mass media (in particolare la televisione) cosicché un errore “pro” può essere “oscurato”, o minimizzato; per contro, un errore a sfavore può essere esageratamente amplificato.

Ipotesi sperimentale

L’ipotesi di partenza riguarda la verifica statistica della direzione degli errori arbitrali di serie “A”, che in termini operativi formuliamo come quei giudizi arbitrali, inconsapevolmente determinati, che, sempre inconsapevolmente, favoriscono le “Grandi”. Tale ipotesi si fonderebbe sia sui presupposti sopradescritti, che agiscono inconsciamente come schemi interiorizzati (“foci dominanti latenti” nel senso di Anochin, 1975; Ruggieri, 1989), sia sui meccanismi di percezione, a loro volta legati agli schemi, che determinano un certo grado di distorsione visuo-percettiva. L’arbitro “vede realmente ciò che percepisce”, anche in presenza di un sbaglio evidente. L’errore avviene perché l’azione visivamente percepita si accorda con lo schema centrale (inconsciamente) interiorizzato dall’arbitro, al quale non può quindi giungere il feedback di discrepanza (differenza) tra l’atto percettivo e lo schema corticale. Per Ruggieri (1997) la percezione si ha quando l’informazione retinica coincide con la rappresentazione centrale dello stesso percetto.

Metodologia sperimentale

Gli errori arbitrali considerati dalla ricerca sono stati quegli errori di “interesse televisivo”, cioè errori emersi dai servizi televisivi della Domenica Sportiva (Rai), in particolare dalla moviola. Quindi, anche se di tipologia diversa si tratta di errori rilevati con un criterio omogeneo di valutazione. Questo ha impedito di fare un’ulteriore discriminazione della gravità degli errori poiché la classificazione televisiva non avverrebbe per quegli errori che sfuggono alle telecamere. Non è stato possibile formare un pool di giudici indipendenti per una valutazione più accurata e della classificazione degli errori, a causa di problemi logistici (legati sia all’accesso alla videoteca, sia per il divieto di parlare imposto agli arbitri, sia per la difficoltà a trovare un unico orario utile per tutti i membri della commissione). Gli errori considerati erano a favore o delle “Grandi” o delle “Piccole” squadre ed erano riferiti ad un’ampia casistica quale:

– fuorigioco non rilevato

– fuorigioco erroneamente fischiato

– gol non convalidato

– gol erroneamente convalidato

– gol “viziato” da un iniziale fallo non rilevato

– rigore non fischiato

– convalida erronea di un rigore

– ammonizione erroneamente comminata

– ammonizione non comminata

– mancata espulsione

– espulsione erroneamente comminata

– scambi di giocatori (nell’ammonizione e nell’espulsione).

Le squadre considerate “Grandi” sono costituite dalle prime sette classificate nell’anno calcistico 1995/96 (quelle che hanno partecipato alle competizioni europee); tutte le altre sono state selezionate come “Piccole”. Qui le “Grandi” sono le squadre più forti dal punto di visto della classifica, perché non sempre l’essere Grandi coincide con la potenza politico-economica del Club o con il cosiddetto blasone (si consideri gli scudetti vinti dalle provinciali come il Cagliari, il Verona o il Napoli, che non è provinciale ma che non è mai appartenuto storicamente all’élite dei potentati del calcio). I dati trattati sono costituiti dalla media degli errori per partita degli arbitri, poi sottoposti a procedimento statistico avvenuto mediante l’applicazione del disegno statistico per misure ripetute a 2 fattori (within) costituiti dalle Squadre (Squadra “Grande” = S1 e Squadra “Piccola” = S2) e dal “fattore campo” (in casa = P1, e fuori casa = P2). Il programma statistico utilizzato è stato il CRL ANOVA. Il livello critico di significatività scelto era corrispondente a P = 0.05. La ricerca è stata eseguita presso il “Centro Videoteca” della Rai (via Salaria), che ha permesso la visione di 243 spezzoni di partite e delle corrispondenti “Moviole,” attraverso cui sono stati rilevati gli errori presi in considerazione dall’analisi statistica stessa. Sono state oggetto di verifica 27 “turni” su 34; i sette mancati riguardavano i “turni” 19°, 24°, 26°, 29°, 32°, 33°, 34°. Gli arbitri coinvolti nell’indagine sono stati 24, il cui numero minimo di partite dirette è stato di tre gare.

Analisi dei dati

La verifica sperimentale ha posto in rilievo (cfr. Tabella 1 (x = 0.4294) come gli errori a favore delle “Grandi” siano statisticamente superiori a quelli fischiati alle “Piccole” (x = 0.2902): la significatività è molto alta (0.0060). Questa notevole significatività rileva come, nella distribuzione degli errori arbitrali, il tipo di squadra costituisca la variabile discriminante rispetto al cosiddetto “fattore campo” (vedi Tabella II). In tal caso le influenze psico‑sociali esercitate dal “fattore campo”, di cui dovrebbe beneficiare la squadra che gioca in casa, non sembrano essere significativamente decisive nella determinazione degli errori arbitrali, pur emergendo una tendenza a favore delle squadre di casa (P1= 0.3706, P2 = 0.2902 ). Non c’è interazione “fattore campo” ‑ squadra (Grafico 1).

 

 

 

 

 

 

Commento

I risultati qui emersi rilevano la tendenza, sistematicamente significativa, degli arbitri a “fischiare”, inconsapevolmente, a favore delle “Grandi” squadre, per contro gli errori a favore delle “Piccole” sono significativamente inferiori. Da un punto di vista psicodinamico questo dato di fatto solleciterebbe una particolare forma di difesa: la “negazione”, perché l’accesso alla coscienza della distorsione percettiva sarebbe, per gli arbitri, intollerabile, provocherebbe una profonda “ferita narcisistica”, che causerebbe un vissuto di “disgregazione” dell’Io. In altri termini, il dato di realtà sarebbe troppo dissonante, troppo destabilizzante rispetto all’immagine di arbitro integerrimo e imparziale. Quindi l’atteggiamento di “favoritismo” verso le “Grandi” sarebbe inconsciamente determinato. Tale comportamento, espressione dell’azione dei meccanismi di difesa, preserverebbe l’integrità dell’immagine professionale e, contemporaneamente, ridurrebbe notevolmente la minaccia a una maggiore esposizione critica (potenziale fonte di vissuto disgregativo). Più precisamente, quando l’arbitro fischia egli “vede fisiologicamente con i suoi occhi” la realtà di ciò che scatena la sua decisione, perché gli schemi interni agirebbero da modulatori percettivi, sia nella regolazione delle soglie di eccitabilità della sensibilità visiva che nella selezione percettiva dei fatti su cui intervenire. Si instaurerebbe così un rapporto circolare tra la periferia percettivo‑motoria e gli schemi mentali influenzandosi reciprocamente (Ruggieri V., 1988, 1989, 1997). Per il livello psicofisiologico questo processo inconscio costituisce ciò che viene definito come “foce dominante latente” (Anochin, 1975; Ruggieri, 1989), ovvero un organizzatore comportamentale latente che viene attivato solo quando certe situazioni-stimolo superano il livello critico di soglia, manifestandosi quindi fenomenologicamente – attività percettivo‑motorio‑decisionale ‑ (nel caso dell’arbitro gli stimoli si riferiscono soprattutto al tipo di squadra che deve dirigere, quindi al grado di importanza della partita, alle attese dei tifosi e dei mass media, al fattore ambientale, alle sue attuali condizioni psicofisiche, la capacità di gestione dell’ansia, ecc. … ). Lo schema interno latente è come se predisponesse l’arbitro a “scegliere” percettivamente certi stimoli che non altri. Anche se la media degli errori per partita, in assoluto, è bassa, gli arbitri, manifestano un atteggiamento sistematico a fischiare a favore delle “Grandi”, indipendentemente dalla tradizione storica del club. Successive verifiche saranno compiute affinché si possa generalizzare i risultati qui emersi, unitamente ad un’altra considerazione: nella storia calcistica, in genere, le “Grandi” sono frequentemente coincise con le potenti squadre del nord (Juventus, Milan, Inter, in modo particolare), ciò vuol dire che si sono “accumulati”, progressivamente, gli episodi a favore e, da qui, la percezione che esistano delle squadre, per principio, privilegiate (appunto la Juventus, il Milan, ad esempio). Un altro spunto riguarda l’atteggiamento degli arbitri, che tendono “infruttuosamente” a negare la possibilità dei processi inconsapevoli  che, come si è potuto constatare, orientano le prestazioni professionali: se non si rendono cosciente del problema, mai potranno attivare le procedure atte a risolverlo, semplicemente perché non esiste (processo di “negazione”). Inoltre, sebbene i selezionatori degli arbitri usino delle schede tecniche molto dettagliate e ben fatte, onde valutare l’operato arbitrale, non sempre (o raramente) è rispettato il criterio meritocratico per le promozioni alle categorie superiori, privilegiando “ lo sponsor politico” di quell’arbitro e, aprioristicamente, la stazza fisica: si preferiscono  gli arbitri alti a quelli più bassi, purtroppo, non a parità di abilità prestazionali e di struttura di personalità, ritenendo l’altezza un parametro fondamentale nella gestione del rapporto con i giocatori, il cui presupposto è il seguente: gli atleti, di fronte all’altezza del direttore di gara, dovrebbero mostrare più timore e quindi maggior rispetto. La conseguente deduzione è che tale arbitro dovrebbe “avere in mano la partita” con maggiori probabilità di quello meno alto.

(Si ringraziano la Prof.sa G. Scalisi, la Dott.sa S. Di Pietro, per le consulenze statistica e computeristica e la RAI per l’uso della videoteca. Tale articolo è stato pubblicato su “L’Attualità” periodico di cultura e costume nel Gennaio del 2003)

 

BIBLIOGRAFIA

Anochin P.K.: Biologia e neurofisiologia del riflesso condizionato. Bulzoni, Roma, 1975.

Gazzaniga M.: Il cervello sociale. Giunti –Barbera, Firenze, 1989.

Marchese F.: Errori arbitrali e moviole. Arbitro. XLVII, N. 1, Dic., 1989.

Olivetti Belardinelli M.: La costruzione della realtà. Boringhieri, Torino.

Ruggieri V.: Semeiotica dei processi psicofisiologici e psicosomatici. Il Pensiero Scientifico, Roma, 1988.

Ruggieri V.: Mente Corpo Malattia. Il Pensiero Scientifico, Roma, 1989.

Ruggieri V.: L’esperienza estetica. Fondamenti psicofisiologici per un’educazione estetica, Armando Editore, Roma, 1997.

Taylor S. E: Illusioni. Quando e perché l’autoinganno diventa la strategia più giusta, Giunti Ed., Firenze,

 

A Cura di Maurizio Santopietro

 

 

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