Coppa Uefa – N. Di Martino: «Io, l’emigrato del calcio e l’indimenticabile notte nello stadio tutto azzurro»

Nello Di Martino, originario di Vico Equense, vive dal 1971 a Berlino. Era la città del Muro quando lui arrivò mezzo secolo fa con il sogno di diventare uno dei portieri più importanti del campionato tedesco, indossando la maglia della storica squadra dell’Hertha, dopo alcune esperienze italiane. Un emigrato felice, che mai ha pensato di tornare nella sua terra, se non per le vacanze. Adesso si occupa della preparazione dei portieri dell’Hertha, dalle giovanili alla prima squadra. E resta il migliore aggancio possibile per il calcio italiano in Germania. Fu accanto alla Nazionale che vinse il Mondiale nel 2006 e ancor prima al Napoli, in quella trionfale cavalcata del 1989. «Sì, ero a Stoccarda. Ma ero andato anche a Lipsia, allora Germania Est, per la partita con la Lokomotiv e a Monaco di Baviera per la semifinale col Bayern, una finale anticipata di Coppa Uefa contro un grandissimo avversario».

Come nacque il contatto col Napoli?«Mi chiamarono il direttore generale Luciano Moggi e l’interprete Bruno Rispoli quando vi fu l’accoppiamento con la Lokomotiv per pianificare la trasferta a Lipsia e assistere il collaboratore di Bianchi, Alberto Ginulfi, che venne a seguire gli avversari. Ma avevo avuto rapporti col Napoli anche in precedenza: l’ex direttore generale Antonio Juliano chiese la mia collaborazione per ingaggiare l’allenatore Ernst Happel e il difensore Hans Briegel, che poi firmò per il Verona».

Qual è il ricordo della finale di Stoccarda di uno dei trentamila tifosi azzurri presenti?«Mi faccia fare un passo indietro, alla semifinale di Monaco di Baviera. Ricordo le offese che fecero sui giornali tedeschi a Maradona – il termine più gentile adoperato fu grassone – e i fischi che lo accolsero nel vecchio stadio del Bayern. La sua risposta? Quel palleggio sulle note di Live is Life: i fischi si tramutarono in applausi, tutti rimasero incantati da quello show di Diego. Una vera magia. Io Maradona lo avevo conosciuto tanti anni prima, quando venne in Germania per un’amichevole con l’Argentina di Cesar Menotti, e lo rividi nell’hotel di Lipsia. Rividi, per modo di dire».

In che senso?«Non era con i compagni e chiesi a Bianchi dove fosse. E lui, alzando le spalle, mi rispose: Sarà a tavola con la sua famiglia. Non capivo come si potesse tollerare quella situazione e l’allenatore fu chiaro: era la squadra che la tollerava, meglio Diego con una gamba sola che undici calciatori sani, gli dicevano i ragazzi».

Stoccarda, la notte dell’orgoglio.«Per noi napoletani e per gli italiani che vivevano in Germania, Belgio, Francia, Spagna. Arrivarono da tanti Paesi, ecco perché ci trovammo addirittura in trentamila all’interno del Neckarstadion. Bandiere azzurre e bandiere tricolori. Il calcio non era fruibile come oggi, se ne vedeva poco in tv e non era agevole organizzare trasferte in Italia per assistere alle partite. Maradona fu un formidabile attrattore, come accade quando c’è la gara della Nazionale, che riesce a unire davvero tutti. Purtroppo in Germania l’ultima esibizione degli azzurri è stata disastrosa, ma l’Italia si è fatta sempre rispettare qui e non solo nel Mondiale del 2006».

Il suo ricordo di quella notte?«Il Napoli segnò due gol, poi arrivò l’autorete di De Napoli e vi fu qualche preoccupazione. Ma Careca decise con un gol dei suoi ed esplose la festa. Straordinaria in campo, emozionante fuori, nelle strade di Stoccarda, dove all’epoca non c’erano tanti ristoranti italiani ma quei pochi offrirono pranzi gratuiti a migliaia di connazionali. Fu un bellissimo regalo quello che fecero Maradona e i suoi compagni a tutti gli italiani. E la finale la ricordano bene anche quelli dello Stoccarda…».

Davvero?«Anche loro non hanno dimenticato quella festa del Napoli. Anni fa Jurgen Klinsmann, che segnò il primo dei tre gol dello Stoccarda in finale, venne ad allenare l’Hertha Berlino. Ero un suo collaboratore e parlammo più volte di quella partita. Aveva un ricordo nitido, soprattutto della classe di Maradona. Davvero unico, Diego, amato dai suoi compagni e rispettato da tutti gli avversari». F. De Luca (Il Mattino

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