A. Giordano nel suo editoriale sul CdS:
“Praticamente, e quasi senza che nessuno se ne sia accorto, dentro la figura imponente di Kalidou Koulibaly non c’è racchiuso semplicemente un calciatore ma si nasconde un Molok, l’ultimo dio in grado di assecondare una resistenza quasi religiosa al «solito» strapotere politico. Kalidou Koulibaly è l’espressione alta del football, il top player che (quasi da solo) ingigantisce la qualità altrimenti media d’una squadra guidandola fino alla soglia della narrazione favolistica: e Luciano Spalletti, ancor prima di accomodarsi a luglio
spalancare gli abissi tra Nord e Sud già avvertiti nell’ultimo ventennio (21 per la precisione) in cui lo scudetto se ne è andato a spasso sulla Milano-Torino. Ci sarà un giorno, presto o tardi chi può dirlo?, che l’anagrafe o il contratto scatenerà questo divorzio, ma intanto, e se non l’avesse già fatto, Adl, andando a raschiare il fondo delle casse d’una società che si fonda sull’autofinanziamento e comincia a tossire dinnanzi alla solvibilità altrui, qualcosa dovrà pure inventarsi, magari un altro KK o l’idea nuova di un progetto audace. Però oggi, nello stesso istante in cui la Juve si presenta con Di Maria e Pogba e attende un centinaio di milioni di euro da De Ligt per ricostruirsi, con l’Inter che si è appena adagiato tra le braccia di Lukaku attraverso la geniale recompra di Marotta, e con il Milan campione d’Italia che può poggiarsi sull’effervescenza che si chiama De Ketelaere o Renato Sanches o Maldini&Massara, il Napoli modello Koulibaly diventa – aspettando anche Roma e Lazio – la risposta credibile all’opulenza, l’opposizione ad una triarchia che anestetizzerebbe il sistema, cui ha dato scosse nell’ultimo decennio da Benitez a Sarri e anche ad Ancelotti. Perché l’Italia del pallone ha bisogno d’un Mezzogiorno che fonda le anime e anche i sogni, senza doversi dividere tra re e reietti”. Fonte: CdS