Il giorno non deve essere stato scelto a caso. Il 22 giugno del 1986 Diego Maradona accese la sua luce nel Mondiale messicano segnando due reti all’Inghilterra, passate alla storia come la Mano de Dios e il Gol del Secolo. L’Argentina esplose di felicità (come la sua Napoli) perché quei 90 minuti erano anche la rivincita della sconfitta subita nella guerra per le Falkland-Malvinas. Trentasei anni dopo il giudice di garanzia del tribunale di San Isidro, Orlando Diaz Diaz, ha metaforicamente segnato un altro gol, atteso dalla famiglia di Diego e dal suo popolo: ha deciso di rinviare a giudizio otto tra medici e infermieri accusandoli di aver spinto il Campione verso la morte. L’accusa è durissima: omicidio semplice con dolo eventuale, punibile in Argentina con la pena da 8 a 25 anni. Più grave della precedente (omicidio colposo) perché i giudici hanno ritenuto che lo staff sanitario era consapevole che con quell’operato Diego avrebbe rischiato grosso, eppure non si fermò e proseguì nelle pratiche che – secondo i consulenti medici e i giudici – portarono il Pibe alla morte il 25 novembre 2020 nell’appartamento del barrio San Andres di Tigre, località a 25 chilometri da Buenos Aires.
LA BANDA DEGLI OTTO
Nel mirino della giustizia argentina sono finiti il neurochirurgo Leopoldo Luque, la psichiatra Agustina Cosachov, lo psicologo Carlos Díaz, la coordinatrice delle cure domiciliari Nancy Forlini, il coordinatore degli infermieri Mariano Perroni, gli infermieri Ricardo Omar Almirón e Dahiana Gisela Madrid e il medico Pedro Di Spagna. La prima fase sarà il processo orale, per il quale potrebbero esservi tempi lunghi: i difensori degli otto rinviati a giudizio tenteranno di far iniziare le udienze nel 2023 o addirittura nel 2024. Le posizioni più delicate sono quelle di Luque e Cosachov, perché furono loro a decidere i farmaci da somministrare a Maradona dopo l’operazione al cervello di inizio novembre. Gli psicofarmaci avrebbero pesato sul fisico minato di Diego, anche perché uniti ad alcol e marijuana. Secondo le conclusioni a cui arrivò la commissione medica nominata dalla procura di San Isidro, Maradona aveva numerose e gravi patologie e non era in pieno possesso delle facoltà mentali. Peraltro, i responsabili della clinica Los Olivos dove venne operato al cervello – non da Luque, neurochirurgo – avevano suggerito il ricovero presso altra struttura ma Gianinna Maradona decise di trasferire il padre a Tigre con il consenso di Luque, che l’11 novembre, due settimane prima della morte, firmò l’atto di dimissione.
Le parole nella relazione medica, allegata alle 236 pagine firmate dal giudice Diaz Diaz, sono molto dure. Secondo i consulenti, i medici «ignorarono quei segni pericolosi per la vita di Maradona». Loro e gli infermieri che avrebbero dovuto sorvegliarlo h24 lo abbandonarono al suo destino. In particolare, l’assistenza degli infermieri «fu piena di inefficienze e irregolarità». Durante gli interrogatori la banda degli otto ha tentato lo scaricabarile delle responsabilità. L’infermiera Madrid, ad esempio, ha dichiarato di essere stata indotta a scrivere il falso dal suo responsabile Perroni a proposito dei controlli effettuati sul celebre paziente nella notte prima della morte: disse che lui li aveva rifiutati. Diego era un ribelle ma in quei giorni drammatici aveva bisogno di aiuto: le sue disastrose condizioni fisiche e il suo stato di abbandono erano il più chiaro campanello d’allarme, purtroppo tragicamente inascoltato. Ecco perché – è la conclusione – «non si può escludere che farmaci e dipendenze (alcol più che droghe, ndr) abbiano influenzato l’esito fatale».
I TEST DEL DNA
Poco prima della decisione del giudice di San Isidro era arrivata un’altra notizia: dopo il test del Dna sono state respinte le richieste di due donne argentine, Magali Gil ed Eugenia Laprovittola, di essere riconosciute figlie di Maradona. I figli-eredi restano cinque. Nati da un matrimonio e da due relazioni, si sono incontrati nella scorsa settimana a Buenos Aires per verificare gli oggetti del padre e aprendo i container si è notata l’assenza di gioielli e orologi. Chi li portò via? Fonte: F. De Luca (Il Mattino)