Due a cinque. Clerici ha appena segnato la sua doppietta. La Juve, che fino a quel momento ha maramaldeggiato, scherzato, perfino giocato al gatto e il topo contro il Napoli più bello mai visto da un ventennio a questa parte, ha un momento di sbandamento. Clerici ne ha fatti due. Uno più bello dell’ altro. Due volte con il sinistro, due volte dalla distanza . Due volte, da solo contro una Juventus impossibile da contenere dinanzi ad un San Paolo muto e confuso. Una superiorità imbarazzante ed inattesa. Il Napoli olandese di Vinicio sbertucciato nel suo ossessivo cercare il fuorigioco, la trappola che fino a questo momento tutta Italia ha ammirato. Damiani ed Altafini, Bettega e Causio, sono state frecce acuminate piantate nel cuore di una difesa incapace di trovare la contromisura. Fino a questo momento, al minuto settantacinque di questa infinita Odissea, alla ricerca della Itaca smarrita, da parte degli azzurri, che è Napoli-Juventus. Clerici ha appena segnato , il gol del 2 a 5, ed i ragazzi di Vinicio, spinti dal soffio di uno stadio che ritrova il suo Napoli per una manciata di minuti, si riversano nella metà campo bianconera. Il cross è di Braglia, Morini ci mette la mano galeotta. Agnolin indica il dischetto. Manca un quarto d’ ora e l’urlo sale altissimo, come il ruggito di una fiera fino ad ora tenuta alla catena. Un brontolio sordo, spaventoso. Perché Sergio Clerici va dagli undici metri, e Clerici i rigori non li sbaglia. Mancherà poi un quarto d’ora. E questo Napoli, in quindici minuti, può fare qualsiasi cosa . Realizzare l’ impossibile. Perché questo è il Napoli di Vinicio, il Napoli olandese, una macchina perfetta. Basterà segnare. Poi sarà l’inferno. Scatenato da ottantamila anime che spingeranno il Napoli all’assalto. Il minuscolo ometto avvolto nel suo loden, con il cappello floscio bel calcato sugli occhi si frega le mani guardandomi . “Mo ‘e facimmo ‘o mazzo tanto”. Gli occhi luccicano, hanno dentro la speranza di chi sa di possedere il talismano della felicità, un talismano in maglia azzurra. ” ‘E pigliammo! ‘E pigliammo”. Il grido si insegue sugli spalti, dalle tribune alle curve, passando per i distinti. E’ un’ onda che monta. Perché il Napoli di Vinicio può ogni cosa. Anche in quindici minuti. Anche sotto due a cinque, no, tre a cinque. Clerici va con il piatto interno aperto, sul palo lontano. Una carezza, apre il piede e disegna una traiettoria rasoterra. La palla viaggia a mezzo centimetro dal terreno di gioco, gira, vicina vicina al palo e si perde ad un niente sul fondo. L’ urlo si spegne. L’ uomo vicino getta via la sigaretta, guarda l’ orologio, scuote il capo con il cappello floscio che ondeggia come ondeggia ora lo stadio, preda della delusione . La Juventus respira. Capovolge il fronte, segna il sesto gol. Il Napoli è battuto, sconfitto, umiliato. La leggenda di quella squadra appartiene anche a quella sconfitta. A quei quindici minuti nei quali qualsiasi destino si sarebbe potuto compiere. Se Clerici avesse segnato quel rigore. Perché quel Napoli poteva tutto. Qualunque cosa.
Stefano Iaconis