Amarcord – Rubrica di Stefano Iaconis: “Quando Sivori fece vendetta”

In estate Heriberto Herrera gli aveva dato il benservito. Il teorizzatore del “Movemiento”, non sposava le sue idee di football corale con quelle individualistiche di calciatori troppo innamorati del pallone, così tanto da tenerlo sempre tra i piedi . Il calcio è assieme, dinamicità, movemiento, appunto, soleva dire. Ed il “cabezon”, Omar Sivori, esiliato da Torino, si era così accasato a Napoli, dopo nove lunghissime stagioni in bianconero, stagioni nelle quali, grazie anche alla venerazione calcistica della famiglia Agnelli, era divenuto idolo incontrastato. La prese malissimo, Sivori. Con lui, a Napoli, in quell’ estate del ’65, era arrivato anche Altafini, e la città, con la squadra appena salita dalla serie cadetta nella serie superiore, sognava. Quando si arrivò alla sfida contro Heriberto Herrera e la Juventus, Sivori meditò la vendetta contro il grande nemico. Anche la città visse i giorni precedenti alla partita con l’ ansia propria di un popolo che da sempre si nutre umoralmente dello stesso stato d’animo dei suoi giocatori. Napoli serbava lo stesso rancore verso Herrera due, come veniva chiamato il tecnico spagnolo per distinguerlo dal più celebre “mago” Helenio, che Sivori riservava all’ odiato defenestratore. Fu una settimana di passione. Sivori portò a cena Altafini, grazie anche alla mediazione del presidente Fiore. Per caricare il brasiliano, e fargli comprendere il significato che quella partita contro i bianconeri assumeva. Pare che Altafini, terribilmente divertito dalla rabbia del suo gemello, in un moto divinatorio, preconizzasse una vittoria per uno a zero, con un suo gol al minuto dodici. Non ci andò lontanissimo . All’ ingresso in campo tutto il San Paolo riservò ad Herrera un’ accoglienza ostile. Sivori apparve immediatamente nervoso, tanto che il suo rito celebrativo uscendo dagli spogliatoi, quello con il quale calciava la palla in porta direttamente dalla scaletta, si rivelò un fiasco, perché la sfera rotolò lontano. Inconcepibile per il “Cabezon”. Si vide l’ argentino disperarsi e lo stesso popolo napoletano venne attraversato da un superstizioso brivido di sciagura calcistica. Ci pensò José con il gol che secondo gli auspici della cena, giunse puntuale, anche se una decina di minuti dopo il momento immaginato dallo stesso brasiliano. E fu un gol nato da uno scherzo del destino. Si era al minuto ventiquattro, quando il Napoli, che attaccava dal primo minuto cercando il gol, si riversò nuovamente verso la porta di Anzolin. Sivori stava rientrando nella sua metà campo assai lentamente, avendo perso uno scarpino in uno scontro di gioco. Emoli, che caracollava palla al piede, avrebbe voluto passarla all’ argentino, ma Sivori fece cenno di no, indicando al mediano azzurro di cedere il pallone a Canè. L’ ala destra napoletana, allora, si involò, e dopo aver vinto un paio di contrasti in maniera fortunosa, indirizzò la palla verso il centro area. Ci furono una serie di rimpalli, una mischia, dalla quale emerse la sfera che lemme lemme si adagiò sul piede di Altafini appostato a pochi passi dalla porta bianconera. Il brasiliano con una carezza, sfiorando appena la palla, la depose nella rete. Fuorigrotta esplose. In un multiplo impeto di gioia. Sivori fu visto avvicinarsi alla panchina di Herrera al quale si rivolse gridando di tutto. Fu tirato via dai compagni. La partita terminò così, con la vittoria degli azzurri, e la grande vendetta del fuoriclasse argentino, consumata completamente. La partita con la Juve e quel rancore mai sopito verso Heriberto Herrera, furono la causa della fuga da Napoli di Omar e dell’ addio al calcio italiano. Improvviso. Nel dicembre del ’68, in una partita che il Napoli vinse due a uno, Herrera mise Favalli in marcatura su Sivori. Con licenza di picchiarlo. All’ ennesima entrata tremenda, con la quale il terzino bianconero stese Sivori, Panzanato fece rapidissima vendetta, sferrando un cazzotto in pieno viso a Favalli. Si scatenò il pandemonio, e tutto il livore di quegli anni, esplose violentemente. Sivori fu espulso, assieme a Salvadore e lo stesso Panzanato, dopo essere venuto alle mani con tutta la squadra bianconera prima, e con Herrera poi. Non terminò il torneo. Recidivo a causa di una serie di squalifiche collezionate, venne sospeso per sei turni. Si imbarcò su un piroscafo, di primo mattino e tornò in Argentina. Aveva trentatré anni. Andò via da napoletano. Levandosi la pietra dalla scarpa.
Stefano Iaconis
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