Lo scugnizzo Maradona e Napoli, un grande amore su Al Jazeera

Lo scugnizzo di Napoli è Maradona, anima così profonda della città da averla personificata. Ed è anche Sergio, il fotoreporter che racconta di aver rischiato da giovane la depressione e di averla superata grazie a lui, a quel dio del calcio a cui dedicava i suoi scatti al San Paolo. Maradona uno scugnizzo di Napoli è il titolo del docufilm realizzato dal regista egiziano Mohamed Kenawi – produzione Al Jazeera Documentary e Domino Film – che sarà presentato martedì 7 giugno (ore 19) all’Istituto francese in via Crispi 86. La programmazione di questo lavoro, intitolato in inglese Maradona il ribelle che amiamo, partirà sui canali arabi ed europei di Al Jazeera da fine ottobre, alla vigilia dei Mondiali in Qatar. Due mesi di riprese a Napoli, la troupe di Kenawi ha girato in lungo e largo la città. «E dovunque, in qualsiasi ambito, Maradona era la parola chiave per entrare nel cuore dei napoletani. Mi ero chiesto: è possibile che vi sia un amore così forte anche dopo la sua morte? La risposta è in quelle tracce che aumentano con il passare del tempo. Non sono riuscito a trovare un termine inglese che rendesse bene la parola scugnizzo, utilizzata nel titolo italiano. Maradona è uno scugnizzo per la passione con cui ha difeso il popolo napoletano e per quella capacità di umiliare gli avversari, buttandoli giù come birilli», spiega il regista. Kenawi ha affidato il racconto di questa passione a Sergio Siano, il fotoreporter del Mattino che diventa la sua guida nella città che sa di Maradona. Sergio è un maradoniano perché – spiega – «all’inizio degli Ottanta a Napoli c’era un clima forte, dovunque paura e tensione. Nello stesso periodo in cui arrivò Maradona era stato ucciso Giancarlo Siani. Ero un ragazzo che rischiava la depressione e di non amare la mia città: se oggi amo Napoli, molto lo devo a Maradona». Siano seguiva le partite e gli allenamenti. «Il Paradiso, il campo dove si allenava il Napoli, ti dava pace. In quel luogo c’era il dio del calcio». Quel dio che oggi appare sul muro di cinta del centro sportivo del vecchio Napoli, chiuso da 18 anni, in un’opera dell’artista Mario Castì Farina, una delle voci del documentario di Kenawi, che immagina Siano in giro per Napoli alla ricerca di ispirazione per un libro su Maradona. Lui ne ha realizzato uno anni fa, foto in bianco e nero sulle stagioni di Diego e del suo Napoli, della sua Napoli: anche il Pibe lo apprezzò. Il Maradona scugnizzo, vestito di stracci, che palleggia con un’arancia sul presepe dei fratelli Scuotto. La pizza che gli dedica Maria Cacialli nel ristorante dove tutto ha il sapore del Napoli e del suo Capitano. La poesia di un poeta palestinese, letta dal ristoratore e artista Omar Suleiman, dedicata a quel ragazzo «con la faccia d’angelo, il cuore di leone e le gambe di gazzella». Il capello del Diez, raccolto da Bruno Alcidi sul poggiatesta di un aereo ed esposto nel bar di piazzetta Nilo. I ricordi di Fabio Zizolfi, ragazzo dei Quartieri spagnoli che ha i brividi mentre racconta le magie di quelle domeniche.

La mostra fotografica che Yvonne De Rosa, titolare di Magazzini Fotografici, propose a Sergio, poi realizzata nel centro commerciale Jambo-1 di Trentola Ducenta (Caserta), confiscato alla camorra. In quelle immagini c’è la storia delle vittorie di Maradona, tanti ritratti che hanno emozionato anche Dalma, la figlia di Diego, quando è venuta a Napoli. Sabir, l’album di Ernesto Petringa, è la colonna sonora del viaggio malinconico, dove si passa dalle urla del San Paolo – oggi è il Maradona – nei giorni dei trionfi ai silenzi di Napoli nelle ore del dolore, quelle del 25 novembre 2020, quando arrivò la notizia della morte dell’uomo che sembrava immortale. Le immagini del docufilm di Kenawi – che si conclude nel Gran Caffé Gambrinus, dove la storia abbraccia la storia – ci confermano che non vi è stata e mai vi sarà una fine, come in tutti i veri amori. F. De Luca (Il Mattino)

CalciofilmMaradona
Comments (0)
Add Comment