LA RETORICA DEL MASCHILISMO – Finalmente! Questo ha pensato buona parte dell’Italia alla notizia che la Serie A femminile passerà al professionismo dal prossimo anno. Un risultato storico, un passo avanti fondamentale per estirpare la retorica del calcio come sport da uomo. Le donne ne capiscono di calcio, spesso anche più degli uomini, ma allora perché ci mettono in disparte? Perché la società in cui viviamo è comunque frutto di una tradizione maschilista secolare e negarlo vuol dire essere ciechi. Gli sponsor vanno dagli uomini perché portano maggiori guadagni e hanno una maggiore copertura mediatica delle donne; delle atlete fa spesso più notizia l’aspetto fisico che le doti sportive: un disconoscimento del proprio valore e un’umiliazione per la propria identità di essere umano prima che donna, con (almeno sulla carta) pari diritti degli uomini, che non siamo più disposti (sì, tutti, anche gli uomini) a sopportare.
UN PO’ DI DATI PER CAPIRCI – Volete degli esempi? E credetemi, i numeri saranno anche solo numeri, ma spesso diventano una certezza: l’occupazione femminile in Italia nel 2021 ha registrato un divario di 14 punti rispetto alla media europea delle donne occupate tra i 15 e i 64 anni (49,4% contro il 63,4%). Nello sport, poi, il numero di atlete (dati del Censis del 2019) è cresciuto dell’11,9% negli ultimi dieci anni, anche se tra gli oltre 4 milioni di atleti delle varie Federazioni solo il 28% sono donne e i numeri diminuiscono ancora se si considerano allenatrici (19,8%), dirigenti di Federazioni (12, 4 %), dirigenti di società (15,4%).
E IL CALCIO? – Si sa, il calcio è lo sport più seguito d’Italia e quindi quello che attira più sguardi degli altri, ma solo il 2% del totale degli atleti tesserati sono praticanti femminili. Proprio nel calcio si vede il divario maggiore, acuito ancora di più dalla questione del gender pay gap: secondo i dati Agi, fino a pochi anni fa una calciatrice non poteva ricevere un compenso superiore ai 30.658 euro lordi a stagione. La media annua nella massima serie è attorno ai 15 mila euro, ben distante dai compensi della controparte maschile. A cercare di cambiare la situazione è stata la nazionale di calcio femminile degli Stati Uniti, una delle più forti della storia che ha fatto incetta di trofei (4 mondiali e altrettante medaglie olimpiche), che ha portato il caso del gender pay gap in tribunale per percepire lo stesso stipendio degli uomini. La battaglia è stata lunga e faticosa, ma alla fine hanno vinto e, soprattutto, smosso le acque su un tema di dibattito (purtroppo) sempre attuale.
Di Simona Ianuale