Titolare in due Mondiali, quelli del 1982 e del 1990, Tomas N’Kono continua a vivere il calcio allenando i portieri dell’Espanyol. L’occhio dell’ex campione del Camerun, tuttavia, è puntato sempre un po’ sull’Italia, dove giocano il suo amico Gianluigi Buffon e il suo connazionale Frank Anguissa.
E la prima volta quando fu? «Nel post partita di Italia-Camerun 3-0 di Francia 98. Ci trovammo nel parcheggio dello stadio di Montpellier. Poi lui è venuto anche al mio addio al calcio in Camerun un anno dopo. In quell’occasione, per farlo giocare, un mio compagno di squadra gli dovette prestare le sue scarpe, perché non c’era un paio numero 46 a disposizione».
A 44 anni Buffon sembra non volere smettere, anche se è stato protagonista di un errore clamoroso pochi giorni fa col Parma. «Sono cose che capitano a tutti. Lo vedo ancora bene e poi paradossalmente a quest’età con la testa siamo molto più svelti e rapidi di quando eravamo giovani».
L’Italia senza di lui ha nuovamente mancato la qualificazione ai Mondiali. Donnarumma ha avuto colpe sul gol decisivo del macedone Trajkovski? «No, perché la palla arrivava veloce ed è finita nell’angolo. L’Italia è stata eliminata perché oggi nessuna squadra è facile da battere, e con l’unico tiro in porta si può perdere una partita».
Donnarumma, così come il napoletano Meret, sono stati molto criticati per i loro gravi errori con il pallone tra i piedi… «Io credo sempre che il primo obiettivo del portiere sia quello di anticiparsi rispetto alle giocate degli avversari. Se un lancio scavalca il difensore, per esempio, bisogna essere ben piazzati per evitare il tiro. Poi, se per caso riescono a tirare, il compito fondamentale del portiere è parare. Il resto viene dopo».
Il portiere ha anche il diritto di urlare ai propri compagni di difesa per tenerli sulle spine? «Quando è necessario, sì, tutto dipende dal momento. Se la squadra è nella metà campo avversaria e il portiere richiama i difensori, sta solo facendo la telecronaca… Quello che conta è guidare bene la retroguardia nel momento in cui la squadra avversaria attacca. E soprattutto essere deciso nelle uscite e negli interventi, senza tentennare».
Nel Napoli gioca il suo connazionale Anguissa. «L’ho conosciuto quando ha giocato nel Villarreal. È un ragazzo attento e diligente, mi è piaciuto molto nel match tra Barcellona e Napoli del Camp Nou per come ha tenuto in piedi il centrocampo. Lui è un box to box che può dare sia qualità sia quantità. E, da quanto mi dice il suo agente, si trova molto bene a Napoli».
Ora che parte Insigne, toccherà a Koulibaly diventare il capitano. «Parliamo di uno dei migliori difensori del mondo, uno che ha vinto col Senegal la Coppa d’Africa. Toccherà a lui prendersi la squadra sulle spalle. Però, ripeto, la mentalità va costruita fin dalle giovanili. Il lavoro va fatto dal basso. Quanti abitanti ha Napoli?»
L’area metropolitana ne conta tre milioni. «Eppure in squadra solo Insigne è napoletano. Bisogna ripartire dai ragazzi napoletani».
Lei dell’attuale Stadio Maradona ha un bel ricordo… «Ai Mondiali del 90 sfidammo l’Inghilterra al San Paolo per i quarti di finale. Vincevamo 2-1 e perdemmo per due rigori ingiusti. Eravamo a un passo dalla storia: una squadra africana alle semifinali mondiali. Resta la delusione ma anche lo splendido trattamento del popolo napoletano, che tifò per noi per tutta la partita».
Fonte: Il Mattino