“Vattene, Ciro. Vattene, chiudi l’armadietto e il cuore, prendi le tue cose e scappa. Vattene Ciro, senza guardarti indietro. Tieniti la tua bella casa a Palazzo Donn’Anna se vuoi, potrai sempre tornarci quando avrai tempo e quando ti mancherà troppo, vienici ad agosto, vieni quando avrai attaccato le scarpette al chiodo. Ma ora vattene, lascialo scadere il tuo contratto, questo contratto così prezioso e così incredibilmente stropicciato da mani che non sanno quel che fanno. Straccialo tu, ce ne saranno mille di altre squadre, là fuori, pronte a far follie per averti con loro. Guardati intorno e vai, non pensare più al Napoli, a questa squadra che non ti merita, alla città che ami e che ti ama, ma che non può permettersi di averti. Vattene Ciro, fallo per te, fallo per noi. Per noi che ti vogliamo bene, che stravediamo per te, e che abbiamo chiesto, implorato, preteso la tua riconferma. Ma che adesso non sopportiamo più di vedere sporcato il tuo nome, bruciata la tua carriera, sprecato il tuo talento in questo disastro che è diventato, anzi ridiventato il tuo, il nostro Napoli. Pensa Ciro, pensa solo un attimo a quanto avresti guadagnato in immagine, in soddisfazione, magari pure in trofei se due anni fa non avessi scelto un’altra volta il cuore. Pensa Ciro, solo a quest’ultimo anno, alle troppe esclusioni che hai dovuto ingoiare, e noi con te, al ruolo di riserva che ti è stato sbrigativamente assegnato con la scusa dell’età, dello scatto che non è più quello di una volta. Come se lo scatto di quelli lasciati in campo fosse servito a qualcosa. Come se l’età fosse un valore assoluto, come se in campo non ci volessero anche, forse soprattutto tecnica, classe, passione. E tu zitto e buono – perché questo sei, un buono, uno scugnizzo perbene – a rispondere con i fatti, a farti trovare pronto, a segnare in scampoli di partita quanto gli altri in un girone intero. A illuminare il gioco, a trascinare il gruppo. A essere Ciro, sempre.
Noi ti amiamo, Ciro. Davvero. Ma questo lo sai, avrai letto anche tu i social, da due giorni, dalla domenica più amara delle storia del Napoli dai tempi della retrocessione non c’è tifoso che non abbia voluto lasciare, nell’oceano di insulti e di furia collettiva, la testimonianza della stima intatta verso di te. Tutti imbelli, tranne Mertens, tutti da cacciare, tranne Mertens. Stima e affetto sinceri, ma soprattutto meritati. Poi ci tocca sentire l’allenatore, che quasi con fastidio ci rivela di aver detto al presidente che sì, Mertens lo può tenere. Ti può tenere. Dopo che gli avevi risolto l’ennesima partita, dopo che, andato via tu, in campo si era spenta la luce, abbiamo scoperto che, per gentile concessione, volendo, Dela ti potrebbe tenere.
Capisci Ciro? Ti è chiaro perché ti chiediamo, con dolore enorme ma con altrettanta serenità, di chiudere il cuore e di dimenticarci? Non ti meritiamo, Ciro. Napoli forse sì, ma il Napoli no. E in fondo il Napoli, questo Napoli senza bussola e senz’anima, non merita neanche noi. Noi pronti a illuderci ogni volta, e pronti ogni volta a crederci, al sogno che il mister di turno, o il giovane acquisto di stagione, o la congiuntura astrale che allinea inspiegabilmente le squadre accorciando la classifica, ci sventolano davanti come se potesse diventare realtà. Noi che lo scudetto dopo 32 anni e mille delusioni non siamo più disposti a considerarlo come una inarrivabile chimera, perchè lo sappiamo, ci è perfettamente chiaro quel che ci vuole per conquistarlo: esattamente il contrario del caos, dei veleni e dell’improvvisazione che ancora una volta ci ritroviamo in casa azzurra. Che delusione Ciro, eravamo convinti che dopo Firenze, dopo l’ammutinamento, dopo Napoli-Verona avevamo davvero visto tutto. Perciò sì, sognavamo lo scudetto, eppure ci saremmo accontentati del piazzamento Champions, che probabilmente comunque centreremo e che in ogni caso interessa alla società molto più che a noi, se solo ci fossimo arrivati dignitosamente. Invece quello che è successo domenica anche questo ci ha tolto, la dignità. Cioè, l’ha tolta al Napoli, non a noi. E non a te, Ciro, che hai lottato, hai segnato, hai distribuito palloni e spinto il gioco finché ti è stato concesso di restare in campo. Tu che perciò adesso non puoi, non devi restare invischiato in questa palude. D’altronde domenica ad Empoli è morto, forse finalmente, il Napoli sarriano, quel poco che nella squadra ancora riluceva di quella magnifica irripetibile avventura si è spento per sempre nella gioia effimera di quell’abbraccio fra te e Lorenzo, i due vecchi gemelli del gol tornati dal passato a dare spettacolo. A far vedere come si fa. Ancora un giro, l’ultimo, prima dell’addio. Vattene Ciro, vai via come farà Lorenzo. Ti rimpiangeremo, ci mancherai moltissimo, ma è giusto così. Vai dove ti porta il rispetto. Il cuore, ogni volta che vorrai te lo faremo ritrovare intatto: Napoli, noi, tu, quello scugnizzo di tuo figlio. E 145 gol che nessun allenatore cieco, nessun dirigente ingrato potrà mai cancellare.
Vattene Ciro, anzi resta. Se sei arrivato a leggere fin qui, lo hai capito cos’è che vogliamo dirti davvero. Lo hai capito che parlare con te è come parlare tra noi, che noi lo sappiamo benissimo che nessuno ci capisce più di te. Resta Ciro, tu e la tua passione, per dare ancora un senso alla nostra, resta perché c’è una squadra da rifondare, alla quale insegnare quella tua voglia di vincere che non s’arrende mai. Resta e rimetti il pallone al centro, e ripartiamo, che la dignità non si riconquista se si rinuncia al gioco. E 145 gol non sono ancora abbastanza, alla tua età”.
A cura di Marilicia Salvia (Il Mattino)