Il legame con Maradona e quella paura di non riuscire ad andare avanti

Si è creato un unicum nell'ex San Paolo: i tifosi cantano la canzone di Maradona come se lui fosse lì, tra loro e davanti ai propri occhi
Ho visto Maradona. Si percepiva davvero, non solo nei canti dello stadio o nelle statue o nei murales. Era dovunque, non dovevi nemmeno cercarlo. Già dentro al tunnel, soffocato dagli scarichi delle auto strombazzanti in fila, che scende dalla tangenziale: un signore temerario vendeva nel traffico le sciarpe dedicate a Diego. Non al Napoli: a Diego. Altri passi in avanti, lenti, confusi, e ancora il Diez offerto a 5 euro. Lo spirito aleggiava, profumava l’ambiente. Dentro poi, prima che cominciasse la partita contro la Roma, l’altoparlante diffondeva le note della canzone resa famosa dal docufilm di Kusturica: “y todo el pueblo cantò, Marado’ Marado’ “. Con i quarantamila tifosi che ritmavano, gridavano, omaggiavano. Tutto per il Mito, non per il Napoli. Perché in fondo non è possibile distinguere l’uno dall’altro. Bello, coinvolgente. Però. Sarà stata una sensazione stimolata dallo sguardo di chi non frequenta Fuorigrotta ogni settimana. Ma forse anche Spalletti, i giocatori, la squadra, avvertono l’anomalia quando entrano in campo. Le aspettative, la responsabilità, se non il vuoto incolmabile. Qui un tempo Maradona aveva costruito il fortino di due scudetti. Invece il Napoli di oggi, nel tentativo di imitare quello di ieri, rischia di averci lasciato il terzo, di scudetto. I numeri dicono che nel giardino di casa sono arrivate cinque sconfitte, con la settima media-punti del campionato (1,76). In trasferta invece nessuno è andato più forte finora (2,31 punti, come il Milan). Chissà se e quanto il contesto domestico abbia pesato.
Niente fraintendimenti, eh: che la città abbia intitolato il San Paolo al calciatore che più di tutti l’ha migliorata e unita, non solo da un punto di vista sportivo, è un capolavoro politico e persino etico. Ed è ancora più toccante constatare che i napoletani sentano l’esigenza di averlo accanto a loro, solo per loro, richiamandolo con la voce del cuore. Ma il dubbio dopo il grigio pareggio contro Mourinho, che a trovare idealmente Diego era andato il giorno prima ai Quartieri Spagnoli, sorge legittimo: l’effetto Maradona, la scia nostalgica dell’immortalità emotiva, supporta o frena la nascita di un grande Napoli che sappia andare oltre? E’ il solito bivio marzulliano, tra la vita che è un sogno e i sogni che aiutano a vivere meglio, nel quale l’imminente addio di Lorenzo Insigne sembra incastrarsi alla perfezione. E’ il momento di scegliere una strada, tra l’elaborazione dolorosa di un lutto e la ricerca eterna del passato glorioso. Se potesse, sarebbe Diego a chiedere alla sua meravigliosa gente di vincere per lui. Oh mamma, mamma, mamma.
A cura di Roberto Maida, Corriere dello Sport 
Corriere Dello SportMaradonaNapoliRomaSpallettistadio
Comments (0)
Add Comment