«C’è stato un cambiamento profondo della società negli ultimi 40 anni: si è passati dai genitori autoritari che non consentivano nulla ai propri figli, ai genitori di oggi che gliela danno sempre vinta. Sono gli atteggiamenti dei genitori che hanno messo ko anche la scuola perché i docenti se rilevano qualche problema in classe vengono continuamente delegittimati dalle famiglie dei ragazzi che ormai hanno sempre ragione». È un fiume in piena Patrizio Oliva, leggenda del pugilato mondiale e campione olimpico.
Sono talmente tanti i casi di ragazzini accoltellati e pestati negli ultimi mesi e, pure, negli ultimi giorni che ormai si può tranquillamente parlare di un fenomeno. Come si contrasta? «Qualche anno fa, almeno a Napoli, si parlava solo dei quartieri difficili e di reati commessi dai figli dei malviventi. Ora non è più così. Queste violenze accadono ovunque, anche nei cosiddetti quartieri-bene, e i carnefici non sono più ragazzini con esperienze familiari difficili, ma girano con i coltelli anche figli di professionisti. Il problema è nella disgregazione delle famiglie, non solo a Napoli. Genitori che fanno i figli e poi se ne dimenticano facendo la loro vita di sempre».
Vanno puniti i genitori? «Se si dice che ai genitori camorristi gli si toglie la patria potestà, allora si cominci a toglierla anche ai professionisti che hanno figli violenti perché non sono in grado di educarli e controllarli. Ai ragazzi vanno insegnati i valori e mandati in case famiglia a fare lavori socialmente utili comprendendo cosa significa stare in una comunità, i genitori devono capire cosa si prova ad essere privati dei loro figli e cominciare a imparare come si fa davvero il genitore».
Non è un po’ troppo duro? «Sono sempre stato per l’inclusione, per la comprensione, per il dialogo. Ora non serve più. Quando facciamo gli incontri nelle scuole per parlare di legalità o portare degli esempi questi ragazzini, mi scusi il termine, se ne fottono: stanno lì a sghignazzare guardando i loro cellulari. La colpa non è loro, ma di chi non gli ha insegnato uno stile di vita».
L’arcivescovo di Napoli, Monsignor Mimmo Battaglia, ha lanciato un patto educativo per i giovani coinvolgendo con la sua Chiesa la politica, la magistratura, le associazioni. Sarà utile? «Non più, non serve. I politici e i magistrati dove sono? Ci rendiamo conto che se continua così ci troveremo con un morto al giorno in strada? Serve la linea dura, il dialogo non serve più. Bisogna abbassare l’età dell’imputabilità per i minori perché ormai i ragazzini sono furbi, sanno di non poter essere puniti. Questi ragazzi prendiamoli per un orecchio e insegniamo loro come si campa».
Da anni lei è in palestra a contatto con i giovani, sono cambiati anche i loro atteggiamenti? «Chi viene in palestra lo fa perché vuole salvarsi, chi fa sport di sicuro non è un vigliacco come i camorristi o questi delinquenti che vanno in giro con un coltello o una pistola. Ora sono i ragazzi dei quartieri-bene che hanno imparato ad emulare quelli che una volta definivamo i giovani dei quartieri difficili: girano armati, in branco, scimmiottando i camorristi».
Lei ha figli? «Ne ho quattro, la più piccola ha 23 anni e quando è in giro ho paura per lei. I miei figli però sono cresciuti con una mamma e un papà attenti. Oggi i ragazzi non vengono portati a teatro, non al cinema, non a fare sport. Li si lascia in strada, con tanti soldi in tasca che spendono solo per bere. E non è un bere per divertirsi, ormai è un bere per bere. Ai politici, ai magistrati, alle forze dell’ordine dico: ma quando vi muovete? Capiscano che bisogna intervenire con la massima durezza, è già tardi».
A cura di Valentino Di Giacomo (Il Mattino)