I l famoso carro è sempre più lontano: 5 punti di ritardo in due partite rispetto all’Inter e 3 rispetto al Milan sono tantissimi, sono un capitale dilapidato in centottanta minuti di Maradona – ma non alla Maradona – trascorsi via tra rimorsi (con la Fiorentina) e rimpianti (con la Roma). La vittoria in trasferta con l’Atalanta aveva rilanciato il Napoli a tal punto da spingere gli esperti a ritenerlo favorito per la conquista dello scudetto, ma l’aura è durata il tempo di due giornate trascorse in casa. Una volta dolce ma questa volta, anzi in questo campionato amara: cinque sconfitte, certo, e poi un altro pareggio in una sfida cruciale proprio come quella con l’Inter. È andata così, è andata male anche ieri: piange Insigne, piange la classifica, non piange Spalletti. Ma di certo felice non è:
«La delusione c’è, anche perché la partita è stata condotta bene per lunghi tratti, ma il risultato ci penalizza da un punto di vista dell’alta classifica». Già. E ora? «Non c’è da fare alcuna scelta: dobbiamo giocare per vincere le partite. Non sono percentuali che ci restano, dobbiamo soltanto vincere il cento percento delle gare che restano. Un punto in due gare non è il ruolino di marcia di una squadra che vuole vincere lo scudetto».
IL LIVELLO. E allora, la lucidità di Spalletti: c’è poco da pensare, il Napoli non deve fare altro che giocare, vincere e sperare. La storia della classifica è complessa ora, davvero un bel po’, e alla fine lo stadio fischia e borbotta per qualche istante verso tutti. Giocatori e allenatore:
«Mi aspettavo qualcosa di più quando ho messo calciatori freschi e invece abbiamo buttato troppo la palla: piuttosto che gestire, secondo le nostre qualità, ci siamo alzati e abbiamo perso troppi palloni. Ci prendiamo le nostre responsabilità e se quello è il livello dobbiamo accettarlo».
E ancora: «Abbiamo preso un gol evitabilissimo da punto di vista tattico e di sviluppo». L’uscita di Lobotka ha reso tutto più difficile: «Senza Lobo la palla ha girato un po’ peggio, ma con quattro calciatori freschi su cinque in mezzo bisognava fare qualcosa di più».
I CAMBI. Poi, l’attenzione si sposta sui cambi: «A fine anno andate da De Laurentiis e ditegli che Spalletti sbaglia le sostituzioni: Osimhen sa fare delle cose e in quel momento la partita era messa in un certo modo e Mertens è più bravo a palleggiare e a tenere la squadra corta. Tra l’altro, Osimhen a Bergamo non c’era e abbiamo vinto e poi volete Mertens in campo, ogni volta con questa storia. Con il gioco dei cambi a posteriori ne esci sempre male: De Laurentiis mi brontola sempre perché sostituisco troppo tardi o perché ho sostituito chi non dovevo. Con i cambi ognuno vede quel che vuole».
LE LACRIME. Nelle lacrime di Insigne, invece, c’è solo un’inequivocabile tristezza:
«Non l’ho visto, non so perché abbia pianto: forse vede avvicinarsi questo momento dove sarà costretto a lasciare la squadra dove ha sempre giocato e il campionato. Sono sensazioni particolari. Lorenzo, comunque, ha giocato una buona partita, e soprattutto s’è preso certe responsabilità quando è arrivato il momento di prendersele».
Finale dedicato alle polemiche arbitrali sollevate da Mourinho: «No, non devo replicare: io è dall’inizio dell’anno che dico a tutti i componenti della panchina di comportarsi bene e di non avere reazioni, di restare zitti e seduti, mentre gli altri quando vengono qui fanno la squadra di casa. Sì: montano addosso all’arbitro, protestano tutti… Si vede che alcuni vengono condizionati: noi siamo seduti e facciamo lavorare i direttori di gara. Tra l’altro, Di Bello è stato richiamato dal Var perché era rigore e non l’aveva visto e questa è una cosa corretta».
Fonte: Fabio Mandarini (Cds)