L’ex arbitro Marelli sui colleghi: «Designazioni obbligate adesso diamo spazio ai giovani»

L uca Marelli, ex direttore di gara e commentatore tecnico arbitrale per Dazn: il designatore incontra qualche difficoltà a gestire i suoi uomini in questo finale convulso di campionato, non sembra anche a lei? 

 

«Lo si capisce guardando le scelte per la prossima giornata. Fabbri è fuori gioco da parecchio tempo per infortunio. Orsato è fermo anche lui da tre settimane e suppongo abbia qualche problema fisico. Sozza si è fermato, è rientrato in Serie B, si è fermato di nuovo: a questo punto mandarlo in Serie A era impossibile, a parte l’importanza della gara di B che dirigerà. E poi Napoli e Roma presentano un altro problema rilevante».

Troppi concittadini nei ranghi.
«Concittadini o corregionali. Ci sono quattro romani internazionali e due campani, tagliati fuori. Il settimo è Fabbri e ne abbiamo parlato. Massa è inciampato in Torino-Inter. Rimangono Di Bello e Orsato. Anche di Orsato abbiamo detto. Ecco qua la designazione di Di Bello. Sicuramente forzata, ma unica via d’uscita».

Che cosa sta succedendo? Crisi di vocazioni o debolezze nella formazione dei nuovi arbitri?
«Secondo me soprattutto una questione di formazione. Per dodici anni nelle sezioni si è parlato più di politica che di tecnica. La sezione dovrebbe essere un luogo di apprendimento e invece si trattavano tutt’altri argomenti. Non voglio approfondire. Mi sembra che con la nuova dirigenza dell’Aia si stiano facendo passi avanti. Però Rocchi si è trovato ad affrontare un’emergenza. Non è un caso abbia lanciato tanti giovani. Ovviamente questi giovani, tipo Marinelli, Marchetti e Massimi, sono più un investimento per il futuro che una sicurezza per il presente. Bisogna lasciare tempo al designatore, che ha fatto un gran lavoro quest’anno. E lo dice uno che dev’essere critico per missione professionale».

Gli incidenti di percorso non sono mancati.
«Rocchi è un essere umano e ha a che fare con esseri umani. C’è stato qualche errore di troppo, è vero. I più gravi però sono arrivati dagli affermati».

Formazione a parte, non sembra che nei ragazzi ci sia tutta questa voglia di diventare arbitri.
«Quello delle vocazioni è un altro grave problema. Trentalange ha ereditato un’Aia dai numeri molto, molto inferiori a quelli della fase precedente. Nel 2009 avevamo circa 34.000 arbitri, oggi ne abbiamo 29.000. Significa pescare il futuro da un serbatoio il 15% più piccolo. Avere ancora Orsato come top italiano a 46 anni non è positivo. Rocchi sta rischiando molto con i suoi giovani, ma è necessario».

Il nostro calcio non è in cima al mondo, non più. Magari è anche meno formativo per gli arbitri. Non molto tempo fa ne avevamo quattro di categoria Élite europea, oggi ne sono rimasti due.
«È un’osservazione interessante. Il calo del calcio italiano ha coinciso con la perdita di presenze di nostri arbitri al livello europeo più alto, questo è innegabile. È un tema da approfondire. Certo la coincidenza è particolare. Può essere che arbitrare a ritmi elevati conduca a una qualità maggiore. D’altra parte registro che dal campionato più intenso in assoluto, quello inglese, non escono tanti direttori di gara di alto profilo».

Altre ipotesi?
«Vale anche per gli arbitri la questione generazionale. La Francia oggi ha una qualità di calciatori eccezionale. Può darsi che per i direttori di gara esistano cicli di questo genere. Da noi c’è qualcosa di buono in Serie C. E la prossima stagione vedremo Marcenaro e Colombo, che dopo un primo anno di rodaggio verranno proposti molto più spesso in Serie A. Due ragazzi eccellenti dal punto di vista tecnico».

Il paradosso del Var: invece di abituarsi allo strumento, gli arbitri ne sembrano sempre più vittime.
«Solo percezione. I dati dell’Aia dicono invece che le decisioni corrette sono intorno al 95%. In questa stagione gli errori accertati sono 13, su un centinaio di decisioni cambiate. Dopo quattro anni e mezzo ancora si considera il Var una moviola in campo, e non lo è. Ovvio che il rigore negato a Belotti contro l’Inter resta uno sbaglio grave».

La soluzione migliore è la separazione delle carriere?
«Ne sono convinto. Però ci vorrà tempo: i Var devono comunque essere ex arbitri. E serve anche una categoria professionale di Avar, che si occupano principalmente di fuorigioco, situazioni da guardalinee, episodi oggettivi».

Tra volata scudetto, corsa all’Europa League e salvezza, quanto sentiremo discutere di arbitri nelle prossime settimane?
«Io mi auguro di dover fare scena muta nelle telecronache. Ma penso che aumenteranno di brutto le polemiche, com’è normale. Ogni episodio verrà analizzato frame per frame. Le risse verbali fini a sé stesse non hanno senso, le discussioni però sono stimolanti. Mi capita persino di cambiare idea, leggendo i giornali».

 

Marco Evangelisti  (Cds)

 

 

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